giovedì 14 marzo 2013

Quando sul "Secolo" facemmo l'elogio del cardinale Bergoglio








Luciano Lanna
Ci risiamo. Come fu per Wojtyla, come è stato per Ratzinger adesso anche per Jorge Mario Bergoglio scatta subito il tentativo del sistema massmediatico di catalogarlo, schematizzarlo, disinnescarne la carica, banalizzarlo. E, come per i suoi due predecessori, l’operazione procede automaticamente all’insegna della vecchia contrapposizione tra destra e sinistra, tra conservatorismo e progressismo, categorie che se non hanno più senso ed efficacia euristica per la politica immaginiamoci cosa possano spiegare della complessa realtà della fede. Pensate a quello che accadde con Wojtyla, spacciato all'inizio per il campione del solo anticomunismo e poi rivelatosi in realtà il più strenuo accusatore dell’imperialismo e del bellicismo yankee. Oppure al tentativo dei teo-con di incasellare Ratzinger tra i propri riferimenti quando poi si scoprì che Benedetto XVI rivendicava al contrario la forza e l’attualità del Concilio Vaticano II, di cui anzi era stato uno dei promotori più attivi.
Così, alla sola notizia del nuovo papa Francesco, sui media e sui social network è subito partita la gara a presentarlo come il conservatore di turno, come il nemico dei diritti civili, come il presunto prelato colluso con la dittatura militare argentina degli anni Settanta. “ Un Papa anti-gay e di destra” s’è addirittura letto su Libero; “Il Papa progressista venuto dalla fine del mondo” s’è sentito dire in televisione. Che così non sia, e che questi approcci portano solo lontano dalla verità lo dimostra in realtà la sua autentica biografia e il suo lungo apostolato. Non è un caso a suo tempo che ce ne accorgemmo anche noi leggendo quanto si scrisse su di lui sulla rivista ecclesiale 30Giorni. E che, il 29 luglio del 2010, un’intera pagina del Secolo d’Italia da me diretto  “Bergoglio, il volto autentico della Chiesa”, un lungo articolo firmato Paolo D’Andrea – venne dedicata proprio al cardinale Bergoglio. Oltretutto, più di qualche osservatore notò la cosa e un sito dedicato al mondo cattolico ripubblicò l'articolo col titolo “Elogio del cardinale Bergoglio”. Lì si precisava a chiare lettere che Jorge Mario Bergoglio, primate della Chiesa argentina, “si è sempre tenuto lontano dai toni da crociata di chi fa la difesa dei valori non negoziabili e dei temi di morale sessuale l’orizzonte esclusivo del magistero ecclesiale”.
Vale la pena di rileggere alcuni passi di quell’articolo-analisi: “Il tratto pastorale di Bergoglio, così pieno di sollecitudine per le singole persone – vi si leggeva – ha in realtà aperto brecce negli ambienti più disparati. C’è persino un gruppo di mogli di preti sposati che lo va a trovare e a godere periodicamente della sua assistenza spirituale. Sono rimaste colpite da quella volta che Bergoglio era arrivato al capezzale di un vescovo che si era poi sposato e stava morendo in solitudine e povertà, amministrandogli i sacramenti...”. E ancora: “Il primate della Chiesa argentina è universalmente noto per il tratto evangelico del suo profilo pastorale. Tutti conoscono lo stile monastico della sua vita, la sua allergia per le ribalte mediatiche e i pettegolezzi curiali, il suo muoversi per la città utilizzando autobus e metropolitane”.
Per il cardinale Bergoglio, d’altronde, da sempre la fede è stata presentata nient'altro che come “lo stupore di un incontro con qualcuno che ti stava aspettando”. Non moralismo, non adesione intellettuale a un sistema, non ritualità fine a se stessa: “A una Chiesa autoreferenziale – ha detto una volta – succede quel che succede a una persona rinchiusa in sé: si atrofizza fisicamente e mentalmente. Diventa paranoica, autistica”. E quando qualche anno fa gli chiesero quale fosse la cosa peggiore per la Chiesa, Bergoglio citò espressamente padre Henri De Lubac, il grande teologo conciliare suo confratello: “Si tratta di ciò che De Lubac chiama la mondanità spirituale. Una deriva che è peggiore di quella lebbra infame che aveva sfigurato la Sposa diletta al tempo dei papi libertini”. E, per spiegare ancora meglio, aggiunse che si tratta di quello che Gesù vedeva nei farisei: “… Voi che vi date gloria, che date gloria a voi stessi, gli uni agli altri”. Nient’altro che una Chiesa autoreferenziale, sicura di sé, chiusa a riccio in difesa della propria cittadella assediata. No, la fede di Bergoglio è una dimensione aperta al mondo, a tutte le persone, a ogni singola persona.
Ridicola e strumentale, poi, l’accusa di connivenze col regime militare del generale Videla. A quel tempo, negli anni Settanta, Bergoglio, era alla guida dei gesuiti in Argentina, e i suoi detrattori lo accusano di aver addirittura una parte di responsabilità nell’arresto di due suoi confratelli accusati di attività sovversiva dal regime militare. Ma è stato lui stesso a ricordare, invece, tutti i tentativi da lui operati per salvare i due gesuiti arrestati, i quali in effetti vennero liberati e fatti fuggire all’estero.
Alla notizia della sua elezione a Pontefice, uno dei commenti migliori e più centrati ci sembra quello di Vittorio Emanuele Parsi: “Le sue credenziali, fatte di rifiuto del fasto, di attenzione per gli ultimi e insofferenza alla pompa, lasciano – annota lo studioso ­– ben sperare. In tempi di crisi economica come quella che proprio in Occidente stiamo sperimentando con particolare e inconsueta crudezza, verrebbe da osservare che si tratta di un Papa particolarmente adatto allo Zeitgeist. Uno spirito del tempo che, infine, ispira anche le attese per una Chiesa cattolica capace di ritrovare le energie per proseguire quell’opera di risanamento interno e di trasparenza che appare sempre meno procrastinabile”.



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