giovedì 4 aprile 2013

E il 4 aprile di trentacinque anni fa arrivò Goldrake




Giovanni Tarantino

4 aprile 1978, esattamente trentacinque anni fa: la voce di una giovane presentatrice, Maria Giovanna Elmi, dà via a una rivoluzione. Trentacinque anni fa faceva infatti la sua comparsa nelle televisioni italiane il personaggio di Goldrake, il cartone animato che avrebbe poi cambiato gusti e sogni di un’intera generazione di bambini. Poco prima delle 18,45 di quel giorno l’annunciatrice presentava la prima messa in onda di Atlas Ufo Robot, nell’ambito del contenitore televisivo “Buonasera con...”. Nessuno sapeva di cosa si trattasse esattamente: si vociferava di una serie animata molto amata all’estero, sicuramente differente dalle varie serie che popolavano la tv di allora, come quelle di Disney, Hanna & Barbera o della tradizionale Warner Bros. E tutto cominciò con un errore: il titolo. Il robot, che in Giappone era chiamato Grendizer, nella versione europea divenne Goldrake, nome facile da memorizzare, anche se per i primissimi tempi qualcuno fece fatica scambiandolo per Mandrake, altro genere, altra saga rispetto al robot. Altri ancora, ovvero i fratelli maggiori a loro volta bambini negli anni ’60, sorridevano ricordando un fumetto erotico dal titolo simile.
Così, il titolo originale con cui Goldrake andò in onda fu Atlas Ufo Robot. Dove sta l’errore? La serie giapponese fu acquistata in Francia, dove il manuale di istruzioni di un programma tv si chiama tecnicamente Atlas. Questo venne ignorato dai funzionari Rai che pensarono che quella parola, Atlas, facesse parte del titolo Ufo Robot. Introdotto da una sigla divenuta poi mitica composta da musicisti come Luigi Albertelli, Vince Tempera e Ares Tavolazzi (gli ultimi due poi divenuti componenti fissi della band che supporta Francesco Guccini), Goldrake divenne la liturgia di ogni fine pomeriggio: «Mangia libri di cibernetica/ insalate di matematica/ e a giocar su marte va/ Lui respira nell’aria cosmica/ è un miracolo di elettronica/ ma un cuore umano ha/ Ma chi è?, Ma chi è?/ Ufo Robot Ufo Robot!». La saga, assai semplice, e tratta da un fumetto del genio Go Nagai, autore tra gli altri di Mazinga Z e Grande Mazinger cui Goldrake è in parte collegato, nonché di altre storie come Jeeg Robot d’acciaio, vedeva protagonista il coraggioso principe Actarus, dai capelli romanticamente scombinati, nato sulla lontana stella Fleed, combattere il malefico Re Vega, distruttore di mondi intenzionato a dominare su tutto l’universo con fare tirannico. Actarus, fuggito a bordo del robot da battaglia Goldrake, si era rifugiato sulla Terra e aiutava quindi i terrestri a resistere contro le mire espansionistiche dei veghiani.
Il tutto condito di guerre spaziali, combattimenti contro alieni spietati, tempeste d’acciaio e dolori psicologici che tuttavia rappresentavano un’evasione sana che precedeva la triste realtà dei telegiornali di fine anni ’70, quasi sempre testimoni di realtà allora crudelmente violente. Era infatti quello l’anno delle Brigate Rosse e del sequestro Moro, della strage di Acca Larenzia, delle vittime della follia estremista e delle bombe. Ma vi è di più: quel cartone animato insieme agli altri già citati, gli anime per dirla alla giapponese, rese popolare in Italia la cultura tradizionale nipponica: vi era una riproduzione delle armature dei Samurai in quelle futuristiche dei robot, l’uso delle armi era sempre accompagnato da un rituale grido che serviva a liberare il Ki , la potenza, le posture dei personaggi erano quelle tradizionali dell’iconografia orientale così come i mostri erano raffigurazioni di demoni della tradizione giapponese.
Immediatamente, per la Goldrake generation di quei ragazzi nati tra il 1965 e il 1975, impazzò la Goldrake mania: si canticchiava la sigla per strada, ci si vestiva da Goldrake nel periodo di Carnevale, e si passavano intere giornate, a scuola, ad esaltare le gesta di Actarus, il personaggio che nella fiction pilota il robot, citando le appropriate esclamazioni bellico-futuristiche: «Alabarda spaziale!», «Maglio perforante», «Lame rotanti». I più grandi, quelli che avevano sorriso del nome Goldrake che ricordava loro la testata di un precedente fumetto erotico di Renzo Barbieri, erano invece impegnati in politica, con tutto quello che questo poteva significare in quel periodo.
Guardare un cartone animato come Goldrake era considerato minimo come politicamente scorretto. Sempre che al grido di «Alabarda spaziale» qualche bambino non si fosse beccato del “fascista”.
Infatti ci fu anche chi volle invece inimicarsi sul serio i cartoon degli Ufo Robot, come 620 famiglie di Imola che pensarono bene di presentare una protesta ufficiale al governo, ritenendo quelle immagini altamente lesive nei confronti dell’educazione dei minori nonché estremamente violente e fagocitanti all’odio. Addirittura Silverio Corvisieri, ex di Avanguardia Operaia, ex redattore dell’Unità e poi, all’epoca dei fatti, deputato eletto come indipendente di sinistra, presentò una specifica interpellanza parlamentare. E lo stesso Corvisieri su Repubblica fu autore di un intervento molto polemico contro Goldrake: «Milioni e milioni di bambini italiani in queste settimane – annotava allarmato sul quotidiano diretto da Eugenio Scalfari – sono letteralmente rapiti dall’entusiasmo per Goldrake, il grande protagonista televisivo che è insieme uomo, moderno samurai e ultrapotente macchina da guerra spaziale». Nell’articolo, intitolato “Un ministero per Goldrake”, Corvisieri – all’epoca membro della Commissione di vigilanza Rai – segnalava la forte valenza politica di quei cartoni animati, in grado secondo lui di veicolare un messaggio sicuramente più incisivo delle stesse trasmissioni politico-istituzionali: «Quando ci si renderà conto, soprattutto a sinistra – ammoniva il parlamentare – che i pezzetti di tribuna politica peraltro necessari, e polivalenti documenti sugli indirizzi generali non scalfiscono minimamente la realtà della Rai?». Una televisione di Stato che nonostante la riforma del ’75 era, sempre a giudizio del preoccupato Corvisieri, sostanzialmente caratterizzata da trasmissioni “poco educative” come «Furia, Zorro, Goldrake, o Portobello, Scommettiamo e Domenica In». Quello che secondo alcuni era un incentivo all’odio e alla violenza in realtà era un rassicurante messaggio che presagiva la finale supremazia del bene sul male. Che il bene fosse destinato sempre a vincere del resto lo annunciava anche la sigla di chiusura, realizzata da Albertelli, Tempera e Bandini: «Và, distruggi il male, và!/ Mille armi tu hai non arrenderti mai, perché il bene tu sei, sei con noi!». Ma anche sulla sigla l’ex avanguardia operaia Corvisieri ebbe a ridire, nella sua personalissima battaglia contro Goldrake, criticando il fatto che i bambini ne conoscessero a memoria il testo:«Lo conoscono e lo cantano, spesso in coro nelle aule scolastiche, tutti o quasi i bambini dai quattro ai dieci anni. Ho visto un ragazzino cantarlo con grande fierezza e quasi con le lacrime agli occhi: “Si trasforma in un razzo missile/ con circuiti di mille valvole/ tra le stelle sprinta e va…”». Ironia della sorte: anni dopo, un esperto di musica come Gegè Telesforo indicò quella sigla come possibile colonna sonora per la destra degli anni duemila.
Di fronte all’esplosione del fenomeno Corvisieri invitava i genitori “democratici” a prendere provvedimenti contro la “tentazione giapponese”: l’appello attecchì soprattutto tra i genitori riuniti in associazioni laiche, cattolico-solidariste, democratiche e antifasciste, tipiche voci di una sinistra bacchettona che proseguì il dibattito anche sul mensile Alter Alter denunciando Goldrake come portatore di un pericoloso messaggio subliminale che aveva come scopo quello di «abbassare il livello critico del fruitore e far acquisire miti e modelli di comportamento propri del sistema» considerati discutibili.
La critica nei confronti di Goldrake durò a lungo, l’eroe dei bambini fu vittima di processi per direttissima in televisione da parte di questo o di quell’esperto di sociologia o di pedagogia. Si ricorda che a quei tempi un solitario e non conformista Gianni Rodari prese le difese di Actarus e compagni con un articolo intitolato "Dalla parte di Goldrake" comparso su Rinascita, dove la creatura di Go Nagai veniva definito come un “Ercole moderno”.
In nome dei valori tradizionali, comunque, sarà soprattutto da destra che arriveranno le arringhe in difesa di Goldrake.
Qualche tempo dopo anche lo storico Franco Cardini si lanciò in un’appassionata arringa - «E io difendo Mazinga» - in favore dei cartoni animati nipponici. E nel maggio del 1980 sul quindicinale Linea un articolo intitolato «In difesa di Goldrake» finirà in prima pagina, in difesa del diritto dei ragazzi a sognare con quegli eroi del Sol Levante. Nel volgere di breve tempo Goldrake surclassò l’antagonista “per femminucce” Heidi. «Per la “generazione Goldrake” le battaglie di Actarus furono una filosofiadi vita. Rappresentavano – ha commentato su La Stampa Bruno Ventavoli – con immagini semplici il coraggio, la perseveranza, la giustizia, e pure un tocco d’amore per la ninfetta Venusia. La realtà era piena dicattivi maestri che insegnavano cose brutte. Quel principe dal volto bambino era un piccolo Davide costretto ad affrontare e battere minacciosi Golia».
Arrivarono anche le t-shirt, i pupazzi gonfiabili, le già citate maschere da carnevale, i libri, i dischi che contagiarono la generazione dei cosiddetti “paninari”, quelli che crescendo a Milano si riuniranno nei pressi del bar “il Panino”, o a Roma in altri fast-food e che verranno soprannominati anche “fasci-bar”. Quei ragazzi descritti nella canzone Gli anni di Max Pezzali cresciuti proprio guardando Goldrake, il cartoon che ha rappresentato una delle vie della riscoperta del mito da parte degli adolescenti anni ’80. Simbolo di un’intera generazione che trentacinque anni dopo è rimasta fedele a quell’icona.

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