lunedì 29 aprile 2013

Luca Goldoni: divenni giornalista dopo le ripetizioni di italiano alle elementari…


Alberto Pezzini


Lo raggiungo al telefono. Ha la voce gentile. Sceglie le parole con cura, quasi con un’ombra di ricercatezza. Frutto del lavoro svolto per una vita e che continua a fare. E conseguenza anche di quello studio appassionato sui sinonimi e su quanti modi esistano nella lingua italiana per dire la stessa cosa. Per farmi un esempio mi dice che il termine bicchiere possiede molteplici vocaboli con cui indicarlo, come coppa o calice, ma soltanto uno calza ad una situazione ben precisa. Lui è Luca Goldoni, classe 1928, uno dei giornalisti più brillanti che siano usciti dalla Gazzetta di Parma per approdare al Corriere della Sera e fare fortuna con migliaia di copie vendute dei suoi libri. Soltanto con È gradito l’abito scuro, la prima raccolta dei suoi articoli un poco aggiustati per l’uso, fece un botto da 300mila copie. Quei libri li volle Mondadori perché intuirono che probabilmente una penna come quella di Goldoni avrebbe scalato le classifiche. Ha scritto di tutto, dall’Africa al mare, dagli animali ai luoghi comuni del tipo Non ho parole o Cioè, quando tanti parlavano come i personaggi di Verdone, con i pantaloni a zampa di elefante: ha saputo chiacchierare con migliaia di italiani in modo leggero, facendosi leggere mentre eri in treno oppure aspettavi dal dentista il tuo turno.


Quando gli chiedo come è iniziato per lui il virus del giornalismo, mi risponde che si è trattato di una specie di civetteria: “Pensa che alle elementari – mi risponde – scrivevo malissimo. Avevo scritto un tema sulle impressioni di una giornata in campagna. Ero andato fuori traccia del tutto. L’avevo interpretata come se avessi dovuto raccontare una specie di forte impressione su di me: ne venne fuori un racconto alla grand guignol, con un incidente e un tizio col cervello che usciva a fiotti dalla scatola cranica. Una tragedia. Presi quattro.  Mia madre mi mandò allora a prendere ripetizioni: diventai un asso nell’analisi logica. Cominciai da lì a studiare le parole italiane in tutte le loro sfumature. Il giornalismo venne di seguito. In classe, in prima ginnasio a Parma, avevo come compagno di classe un certo Baldassarre Molossi, figlio del direttore della Gazzetta di Parma e nipote del proprietario dello stesso giornale. Fu lui a costringermi a scrivere per il giornalino della nostra classe, L’eco della B, la nostra sezione. Fu il mio personale laboratorio di scrittura…”.
L’arrivo al giornalismo vero e proprio coincide però con il caso, anzi con una alluvione. Il Po aveva tracimato nel novembre del 1951 allagando tutti i paesi della Bassa. Luca Goldoni – che comincia a lavorare per il Resto del Carlino redazione di Parma – viene pagato con la tessera per entrare gratis al cinema. Per fare invece il distributore dei giornali in quei paesi lo pagano 5mila  lire. Compra una Lambretta a rate, e tutte le mattine, per un anno tondo che piova o ci sia il sole, parte all’alba con i giornali sotto la maglia e gli occhiali da aviatore di biplano. Ogni mattina si intrufola in quei bar di paese dove la nebbia sta fuori e dentro si gioca a scopa bevendo grappini. Conosce i paesi come le sue tasche e le persone pure.Quando l’alluvione inghiotte la Bassa, si scapicolla dove era di casa, proprio là l’acqua era dilagata come un’armata bastarda.
“Scrivo un pezzo – racconta  direttamente dall’epicentro dell’alluvione In prima persona, palpitante. Va a finire in prima pagina sul Resto del Carlino, un pezzo di vita documentato all’ultimo respiro. Mi chiama Vittorio Zincone, allora direttore del Carlino, e mi dice che da quel momento sarei diventato giornalista, da giornalaio che ero…”.
Ma il racconto di Goldoni prosegue: “L’altro uomo che mi aiutò e fece di me chi sono diventato fu Giovanni Spadolini. Era attratto da me perché ero campione italiano di go-kart dei giornalisti e me la cavavo a scrivere. Lui sapeva tutto di Chiesa cattolica e di scismi. Mi chiamò al Corriere della Sera dove, credetemi, non ci volevo andare. Gli dissi che i miei articoli andavano bene per gente della Bassa. Mi disse, non dire sciocchezze. Vieni a Milano che farai successo…”. Ebbe ragione.




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