martedì 16 aprile 2013

Mister Magoo, da Virgilio letterario a icona da stadio





Giovanni Tarantino

Insieme a Andy Capp è il personaggio dell’immaginario novecentesco a riscuotere maggiore successo nel mondo dei tifosi di calcio e delle curve. L’americano Mr. Magoo “il miope”, così come il britannico Andy Capp, quello sempre col berretto e la sigaretta in bocca, sono stati infatti adottati da anni dal mondo del calcio ed è possibile vedere le loro icone, magari con la sciarpa e i colori di una squadra, campeggiare negli striscioni di molti stadi. Certo, siamo quasi sicuri che gli ultras di oggi non sanno che Mister Magoo è stato in realtà un compagno d’infanzia di tanti quaranta-cinquantenni di oggi i quali, proprio quarant’anni fa, lo seguivano in televisioni nei cartoon e nel Magoo Show, una serie di film da due ore – trasmessi a due puntate domenicali sulla Tv dei Ragazzi – che rappresentavano le principali trame di romanzi come Robin Hood, Il principe e il povero, Il canto di Natale o L’isola del tesoro. E lì Magoo accompagnava, un po' come il Virgilio dantesco, i ragazzi italiani nella conoscenza dei classici della letteratura...
Un personaggio caratterizzato da leggerezza, sincerità, ironia, sarcasmo e casualità, Mister Magoo. Un po’ come il suo creatore Millard Kaufman –sceneggiatore e scrittore americano – che, poco prima della sua dipartita a Los Angeles, avvenuta nel 2009 a novantadue anni, aveva fatto anche in tempo a debuttare anche come scrittore da mainstream. Novantenne era infatti riuscito a realizzare la sua prima opera narrativa col suo romanzo Bowl of cherries, tradotto in Italia come Molto lontano dal paradiso (Baldini Castoldi Dalai, pp. 408, euro 19). È la storia di Judd Breslau, quattordicenne prodigio abbandonato dal padre e che vive con una madre semialcolizzata, il quale viene cacciato dall’università di Yale senza troppi complimenti. E Judd si imbatte allora in Phillips Chatterton, uno stravagante egittologo che lavora a un misterioso progetto nella sua casa-laboratorio, che diventa il punto di riferimento del ragazzo. Valerie, la figlia del professore, sarà la causa, più o meno diretta, di una vorticosa girandola di episodi e situazioni che trascineranno Judd in un ranch in Colorado, sul set di un film pornografico a New York e, infine, dentro una cella in una sperduta provincia irachena, dove era finito per ammirare l’architettura locale.
Una vera e propria odissea che si snoda in un romanzo sempre in magico equilibrio tra farsa e critica politica, tra avventura picaresca e racconto di formazione, dove le gioie, i dolori, le speranze, le paure e l’inesauribile ansia vitale dei protagonisti vengono descritti con insospettabile sensibilità. Fino a quando Judd, in attesa di esecuzione nel carcere della cittadina irachena, ripercorre i frammentati ricordi della sua giovane vita, dove il presente, rappresentato da una deplorevole prigionia, si mischia al ricordo di un passato prossimo, in un alternarsi di eventi che accomuna il ragazzo americano immaginato da Kaufman ad altri celebri giovani americani come il “giovane Holden” di Salinger o il Garp di David Irving. Il tutto senza risparmiare qualche critica – anche pesante – sul bellicismo di George W. Bush relativamente alla guerra in Iraq e alla sua ossessione sull’esistenza di armi di distruzione di massa. Un’ironia dissacratoria, quella di Kaufman, che a novant’anni anni si è dimostrato molto più giovane di tanti che solo anagraficamente possono definirsi tali.
Nato nel 1917, Kaufman durante la seconda guerra mondiale aveva combattuto a Guadalcanal e partecipato agli sbarchi di Guam e Okinawa. Subito dopo la guerra si era dedicato alla creazione del cartoon di Mister Magoo. Adesso lo abbiamo riscoperto nei panni di un esordiente un po’ speciale, di novantadue anni, particolare anagrafico di poca rilevanza dato che questo non gli ha impedito di tracciare un esilarante e commovente ritratto dell’adolescenza, suscitando l’entusiasmo di McSweeney’s, il laboratorio di scrittura di Dave Eggers, che ha lanciato il romanzo, considerato il termometro delle tendenze della narrativa americana contemporanea. E proprio l’editore McSweeney’s ha poi pubblicato, postumo, il secondo e ultimo di Kaufman, intitolato Misadventure. In italiano significa “disavventura”, una parola che suona come un leit-motiv lungo tutta la carriera e la produzione creativa di Kaufman. Infatti, in perenne disavventura viveva il personaggio di Mister Magoo. Creato, insieme a John Hubley nel lontano 1949 per la United Productions of America (la UPA) , uno studio di animazione fondato da alcuni dissidenti della Disney Company in rottura con la famosa azienda.



Quincy Magoo – questo il nome per intero del personaggio – era un ricco pensionato, basso e molto miope, al punto da essere praticamente cieco. Nel 1949 Kaufman ne scrisse la prima sceneggiatura, intitolata Ragtime Bear, il cartoon che vede l’esordio di Mr. Magoo, personaggio creato ispirandosi a un suo zio. Questi, in realtà, ci vedeva benie ma, come racconta Kaufman, «interpretava ogni cosa che vedeva in maniera molto particolare, a volte poteva essere un po’ difficile, ma vedeva solo le cose per come esistevano secondo il suo punto di vista molto soggettivo». Nelle sue avventure Magoo, invece, a causa della sua debole vista, si trovava continuamente nei guai, in genere senza rendersi assolutamente conto dei pericoli che corre e delle disavventure che gli capitano. Calvo e brontolone, Magoo si ostinava a non volere accettare la sua condizione di miope e rifiutava l’imposizione degli occhiali, lasciandosi così accompagnare dal nipote Waldo e da un cane di nome Mc Barker. E così, il vecchietto miope si trovava sempre al centro di storie caratterizzate dagli equivoci dell’incoscienza di Magoo, che prende l’aereo credendosi in nave o che assiste a un conflitto a fuoco tra polizia e banditi e crede di trovarsi a una festa animata dai fuochi d’artificio. Mister Magoo però, da sempre icona di spensieratezza e di libertà, di rifiuto della costrizione a cui lo avrebbe ridotto la sua condizione di ipovedente, riusciva sempre a passare incolume in mezzo a tutto ciò, senza riportare alcuna conseguenza dai pericoli che effettivamente correva, senza rendersene conto. Probabilmente perché era sempre accompagnato da una inesorabile fortuna, che lo assiste anche quando si trova in equilibrio sui grattacieli, credendosi in ascensore.
Un personaggio davvero particolare quello di Mr. Magoo che si fece conoscere in Italia dapprima, negli primi anni Settanta, sulla celeberrima “Tv dei Ragazzi” che andava in onda alle 17,30 sull’allora Primo Canale della Rai, e poi grazie la diffusione del cartone animato attraverso le tv locali seguita da Mediaset, e che nel 1997 divenne anche un film per il cinema, con Leslie Nielsen nei panni del miope protagonista. Come abbiamo già detto, ci fu anche una bella serie di mediometraggi animati in cui Mister Magoo interpretava i classici della letteratura per l’infanzia, da Un canto di Natale a L’isola del tesoro e fu un vero successo di massa nelle domeniche pomeriggio italiane del 1970-71.



Chissà che non sia stata la particolare condizione di precarietà, sempre assistita dal lieto fine, e di libertà a colpire l’immaginario di alcuni tifosi, che già da qualche anno sventolano nella parte bassa delle curve un bandierone in cui viene rappresentato proprio il nostro Mr. Magoo. Un’innovazione grafica, quella degli ultras, che ha lasciato tutti spiazzati quando gli osservatori del fenomeno tifo si resero conto della scelta iconografica: per la prima volta in una curva venivano riposte simbologie tetre, come teschi, o “cattiviste”, come quelle che raffigurano bande tipo dei drughi di Arancia meccanica, se non addirittura troppo tristemente politiche, per preferire un tranquillo e anziano signore borghese, reso incosciente dalla sua spensieratezza malgrado la miopia, che evidentemente a modo suo simboleggiava la capacità di affrontare la vita con leggerezza. Che del resto è sempre stata una prerogativa di Kaufman, che durante i suoi novantadue anni ha sempre dimostrato di sapere sognare a occhi aperti. Amava farlo durante i suoi viaggi, molti dei quali proprio in Italia. Una volta raccontò di quando andò in cima al Duomo di Milano, che lui chiamava “The Cathedral”, a riflettere guardando il Cielo, che per lui era simbolo per eccellenza di libertà. Dove adesso è approdato da quattro anni, dopo aver abbandonato la vita terrena, libero come sempre e magari sperando di non essere troppo lontano dal Paradiso

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