martedì 28 maggio 2013

Perché piace il medioevo? Perché è stato capace di essere cristiano


Marina Maugeri

Il medioevo è un periodo storico di lunga durata pieno di contrasti ma che realizza, paradossalmente, gli opposti mettendoli l’uno accanto all’altro. Non recita la perfezione, proclama invece continuamente la possibilità della vita straordinaria, il cui presupposto, fisicamente impossibile, è in una Fanciulla vergine che rimane incinta del Figlio di Dio. L’uomo medioevale al pari dell’eroe della fiaba sente perciò di essere lanciato in una missione che lo supera. Crede, da cristiano, che Cristo abbia salvato l’uomo non perché l’uomo è giusto, ma perché l’uomo è bello, fatto a immagine e somiglianza di Dio. Pensa, da cristiano, che per fare un santo occorra anzitutto un peccatore, un iroso capace di avventarsi sulla propria mediocrità, un superbo che comunque crede d’essere figlio di Dio. Il medioevo libera il mondo dalla visione ciclica della storia e progredisce nel capire Cristo; procede verso l’avventura della trasformazione, non della ripetizione e va verso la pienezza del colore e l’esplosione della creatività. Nel medioevo gli uomini acquisiscono il senso della libertà, che comporta anche la liberazione della violenza ma, essendo obbligati ad andare d’accordo, inventano la scienza, la tecnica, la cultura, facendo nascere la civiltà più creativa e potente mai esistita e la più vulnerabile e autodistruttiva. Ulteriore paradosso: nel mondo medioevale, diversamente che all’interno degli ordinamenti moderni, esiste un “diritto alla resistenza” che può essere esercitato appellandosi alla sovranità del diritto divino.È  per questa via che San Francesco rompe con le idolatrie paterne, un tipo di stordimento che avrebbe potuto mettere la sua vita al riparo degli agi comodi che il padre gli aveva confezionato. San Francesco è l’esempio cristiano dell’uomo libero da qualunque possesso, fino ad essere “pazzo nel mondo” che nel realizzare la santità riconquista perfino la sua missione di cavaliere, fedele al Re dei Re e chiamato come ogni cristiano ad una via di grandezza. Il medioevo parla perciò ancora oggi all’uomo spirituale e lo fa con il linguaggio del Vangelo e della fiaba. Se per l’uomo comune il vertice della spiritualità è l’anima, il Vangelo e la fiaba parlano all’uomo spirituale, la cui anima è vivente, al pari della carne e dei sensi che si affinano sempre più ad essere sensi spirituali. Lo spiega con un tocco poetico Cristina Campo, chiosando la fiaba de “La Bella – Belinda – e la bestia”: “La metamorfosi del Mostro è in realtà quella di Belinda ed è soltanto ragionevole che a questo punto anche il Mostro diventi Principe. Ragionevole perché non più necessario. Ora che non sono più due occhi di carne a vedere, la leggiadria del Principe è puro soprammercato, è la gioia sovrabbondante promessa a chi ricercò per prima cosa il Regno dei cieli.” Belinda chiese al Padre un dono impossibile: una rosa fiorita nel pieno dell’inverno. “A chi chiede sarà dato.” (Lc 11,1-13). “Qui è la maggiore diversità fra la fiaba e il mito”, suggerisce Ernst Jünger e forse qui è la distanza e al tempo stesso il punto di contatto fra il medioevo e l’epoca contemporanea. La fiaba non conosce l’eroe mitico dell’antichità classica. Il Re della fiaba fonda il proprio rango nell’Essere, mentre il re del mito deve essere sorretto dall’ordine. “Le gesta dell’eroe delle fiabe e di quello del mito sono spesso simili e nei racconti non di rado vengono a confondersi inestricabilmente. Ma a delinearsi sono diversi gradi di coscienza. L’eroe della fiaba comprende la Terra, possiede un intuito naturale, benché sia folle, e proprio per questa sua follia ... L’eroe del mito ha origine solare o per metà solare, spesso è figlio di dèi, ha una genealogia”.L’eroe del mito è qualcuno cui si attribuiscono virtù sovrumane che lo costringono a uno sforzo morale per piegare dolorosamente la natura al proprio ordine e deve spesso fare proprie le armi dell’orrore, mentre l’eroe della fiaba è un personaggio semplice che sa di vivere dentro una realtà caotica e variegata, fatta di gnomi, mostri, predatori e giganti ma accetta con valore il rischio della prova e dell’errore. È  chiamato a entrare dentro la propria Paura per fare i conti con il proprio predatore. Ma è un Eroe innamorato, “che vive per sempre felice e contento” e sperimenta la vita eterna sulla terra. La fiaba diversamente dal mito, infatti, non ne descrive mai la fine. L’Eroe della fiaba conosce solo soglie da oltrepassare, porte da chiudere, principesse da baciare... sepolcri dai quali risorgere. 

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