giovedì 9 maggio 2013

La fine di Fli e il dopo


Pubblichiamo di seguito un intervento di Gennaro Malgieri sulla fine di Fli. Segnavia non condivide tutto ma di certo, tra tanti lazzi e tante stupidaggini, qui c'è almeno una densità argomentativa




Gennaro Malgieri 

Lultimo atto di Fli è il congedo. Da unillusione, da una improvvida avventura, da un malinconico progetto senza sbocchi politici.Gianfranco Fini, già leader di Alleanza nazionale che ottenne lusinghieri successi tra il 1994 (quando il mutamento non era ancora stato completato) ed il 2006, fino a toccare la vertigine del 15,7% dei suffragi, si ritira dichiarando di aver fallito ed accetta la sconfitta senza accampare giustificazioni, né alibi e neppure cercando ricomposizioni impossibili, come ha lui stesso ammesso, convinto di non essere uomo per tutte le stagioni. Il riciclaggio, insomma, non gli si addice. E dellassunzione piena delle responsabilità gli va dato atto.
Inutile elencare qui gli errori di strabismo politico commessi da Fli. Il magrissimo risultato elettorale li riassume tutti. Va solo ricordato che prima labbandono del centrodestra da parte degli scissionisti e poi la confusa e precaria costruzione di un soggetto che per disperazione non avendo altre possibilità di collocazione è diventato centrista pur essendo lontanissimi da quellarea tutti i suoi esponenti, ne hanno pregiudicato lagibilità politica fino alla scomparsa. La destra che Fini ed i suoi immaginavano, insomma, non è mai nata. Poteva esistere, pur lontana dallalveo berlusconiano, a patto che principi, valori, riferimenti, strategie fossero coerenti con una tradizione politico-culturale riconoscibile e comunque attraente. Invece non è stato infrequente imbattersi in prese di posizioni antitetiche alla destra da parte di non pochi parlamentari di Fli e dello stesso Fini che lasciavano sconcertati coloro che li avevano seguiti, molti dei quali non esitarono perciò a fare retromarcia.
Comunque la si voglia giudicare, lesperienza finiana ha determinato una rottura traumatica allinterno di una componente umana prima che politica le cui conseguenze si sono fatte dolorosamente sentire. Per dirla tutta, un mondo, cementato da ideali e culture, a lungo ostracizzato per poi affermarsi con il consenso conquistato, è andato in frantumi. In quel mondo, per oltre mezzo secolo sopravvissuto a tutte le intemperie politiche, si sono consumati drammi personali di cui non  è stata valutata la gravità nello stesso Pdl che in questultima tornata elettorale ha marginalizzato quasi tutti coloro i quali erano rimasti nel suo ambito perfino quelli che avevano criticato la fusione a freddo tra An e Forza Italia -  come se fossero comunque sospetti di intelligenza con il nemico. Ma questa è acqua passata.
Non passa, invece, la tentazione di rimettere insieme i cocci. Anche da parte di chi ha seguito Fini. E in corso un lavorio che coinvolge alcuni dei suoi collaboratori più stretti come Roberto Menia che sta tentando un dignitoso approccio con altre componenti della destra, da Fratelli dItalia al partito di Storace, al gruppo che si riconosce in Moffa, Landolfi, Viespoli, Benedetti Valentini (che sabato scorso ha tenuto un convegno a Roma sul presidenzialismo) e al movimento che sta mettendo in piedi Domenico Nania che debutterà il 16 maggio a Palermo. Naturalmente contatti con gli ex-An nel Pdl sono frequenti da parte di tutti gli interessati. E non è detto una Cosa di destra non venga fuori.
 Naturalmente una sommatoria di soggetti sarebbe inadeguata allo scopo. La destra che non c’è eppure, paradossalmente c’è, come destra diffusa intendo, potrebbe ritrovarsi soltanto intorno ad un progetto finalizzato allorganizzazione nello spazio lasciato vuoto dalla scomparsa di An, di uno schieramento politico che riesca a muoversi in sintonia con lesigenza di cambiamento istituzionale e di moralizzazione della vita pubblica diffusa nel Paese. Coniugando la tradizione culturale propria della destra con le spinte modernizzatrici che andrebbero adeguatamente interpretate e governate. Non si tratterebbe di rifare ciò che non c’è più, insomma, ma di reinventare unidentità procedendo a quella sintesi culturale che venne avviata a Fiuggi nel 1995 e poi è sbiadita strada facendo, fino a perdersi.
Un orizzonte ambizioso, senza dubbio. Ma inseguire piccoli obiettivi non è interessante per nessuno. Se si vuol provare a far rinascere la destra tanto vale riconoscere che limpresa è ardua e che molte energie vanno spese. Accontentarsi del piccolo cabotaggio o trasformarsi in qualcosa dindistinto è inutile. Come la parabola di Futuro e libertà eloquentemente dimostra.
(tratto da Il Tempo del 7-5-2013)


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