domenica 5 maggio 2013

Quei quindici anni in edicola del “Sabato”, il settimanale corsaro che ruppe gli schemi


Luciano Lanna

È stata una parabola interessante quella del settimanale Il Sabato, che arrivava nelle edicole 35 anni fa e chiudeva le pubblicazioni vent’anni fa. Quindici anni in edicola e almeno tre diverse fasi della rivista che possono essere assunti a metafora del cambiamento avvenuto in Italia tra la fine degli anni ’70 e i primi ’90. Solo due anni prima della nascita del settimanale era arrivato in libreria Ipotesi su Gesù di Vittorio Messori, un giornalista convertitosi da una formazione laica, e diventa subito best seller. Ricordiamo che erano quelli gli anni della crisi del post-concilio, e di una laicizzazione selvaggia che aveva portato i credenti a vergognarsi o a tenere nascosta la propria identità. In quel ’76-77, in cui trionfavano la radicalizzazione delle posizioni estreme tra i giovani nella classifica del bestseller Ipotesi su Gesù stette per mesi e mesi al primo posto dei libri più venduti della saggistica accanto, nella colonna della narrativa, al romanzo Porci con le ali, manifesto letterario della “rivoluzione sessuale”.



Ebbene, in pieno ’77, in un periodo in cui l’informazione settimanale era dominata quasi esclsusivamente da due periodici, L’espresso e Panorama, i quali non davano adeguatamente spazio alle istanze cristiane che stavano riaffiorando, un gruppo di giornalisti aderenti a Comunione e liberazione pensò che era arrivato il momento per un settimanale adeguato a questa nuova fase. Il primo numero de Il Sabato esce il 27 maggio ’78, con caratteri azzurri e in formato tabloid, al prezzo di 350 lire. In soli sei mesi la diffusione fu estesa a tutta Italia. La sede del giornale rimase sempre duplice (Roma e Milano). Nonostante i promotori, Il Sabato non divenne però mai organo ufficiale di Cl, restando aperto alla collaborazione e ai contributi di esponenti di vari orientamenti culturali e politici, sia all’interno che fuori del mondo cattolico, e divenendo pertanto un fenomeno non perfettamente incasellabile – “corsaro”, si disse a più riprese anche in riferimento alla passione del giornale per Pier Paolo Pasolini – nel quadro del panorama giornalistico italiano. La scelta del nome della testata fu dovuta a Vittorio Citterich, fiorentino e già inviato da Mosca per la Rai, che da ragazzo aveva avuto come maestro La Pira. Citterich citò infatti un consiglio che aveva ricevuto dal grande sindaco fiorentino: «Cercate una testata che abbia un sapore biblico, per esempio ‘L’ultimo giorno’. Su quell’ispirazione, la decisione cadde poi su di un nome considero più al passo coi tempi, appunto Il Sabato. Facevano parte della prima redazione Fiorenzo Tagliabue e Guido Folloni, il creatore di Radio SuperMilano Alberto Contri e Robi Ronza, e poi Paolo Sciumè, Roberto Formigoni, Paolo Saporiti e Paolo Volpara. Ma sin d’allora cominciarono a pesare i nomi dei collaboratori, su tutti quello di Giovanni Testori.


Solo cinque mesi dopo, nell’ottobre 1978, con l’arrivo del papa polacco si determinano le condizioni per quel mix Wojtyla, Cl, Il Sabato, che caratterizzerà la nuova percezione pubblica dei cattolici tipica dei primi anni ’80. Eppure, le rotture innovative non mancheranno. Soprattutto dopo che il 17 e 18 maggio 1981 il fronte abortista aveva vinto il referendum sulla legge 194, don Giussani e Cl – con quelli del Sabato – capiscono che, ancor più di prima, le persone e gli incontri reali, la realtà nella sua complessità e nelle sue sfumature che sfuggono a qualsiasi lettura ideologica, debbono prevalere sulle enunciazioni di principio e sugli schieramenti. Nel giugno ’81 sulle pagine del Sabato compare allora una conversazione col fondatore di Cl che costituisce la premessa ideale della “svolta” dell’intero decennio, in cui don Luigi Giussani lo ammetteva chiaramente. E  come scriverà sette anni dopo Lucio Brunelli, sempre sul Sabato, “tornare alle origini significa ripuntare la mente e il cuore sull’avvenimento di Cristo prima che sui valori portati da Cristo… Si superava così il clericalismo, cioè la museificazione della tradizione e delle stesse istituzioni ecclesiastiche, perché si trattava di vivere un’esperienza che riaccade di continuo come novità di vita”. Da qui il lavorìo culturale che si svolgerà sulle pagine del Sabato, una proposta che passava anche attraverso la rilettura di autori e filoni alternativi all’egemonia dominante, anche al di là dell’identità cattolica: Pavese e Péguy, Eliot e Claudel, René Daumal e J.R.R Tolkien, Leopardi e Thomas Mann, Pasolini e Del Noce. E anche su queste intuizioni quelli del Sabato inaugurano una stagione di incursioni politiche in mare aperto, non più relegati al dialogo esclusivo col cosiddetto “partito cattolico”. I giornalisti del settimanale sono pronti anche a incontrare esponenti del Psi di Craxi, a far proprie alcune istanze dei Verdi di Alex Langer, a “sdoganare” alcuni ambienti e alcuni temi della destra politica e culturale. Un  giorno, a metà degli ’80, si presenta alla redazione romana del settimanale Vittorio Sbardella, ex missino e poi consigliere regionale della Dc. Fu amore a prima vista e col tempo Sbardella diverrà anche editore del Sabato. Con lui, si avvicinerà il suo amico e consigliere personale Maurizio Giraldi, che aveva a sua volta un passato neofascista e che del Sabato sarà per anni l’eminenza grigia. “Fin dai suoi anni giovanili – ha scritto di lui Filippo Ceccarelli – aveva già selezionato quelli che rimarranno i suoi eterni nemici: l’illuminismo, il capitalismo laicista, il pensiero borghese”. E, alla fine degli anni ’80, riesce sulle pagine del Sabato a far tenere uniti i due piani, quello politico e quello metapolitico: “Un occhio sulla crudele lotta per le preferenze nella Dc e l’altro sulla guerra francese del chador, naturalmente in difesa del velo islamico contro la massoneria laicista…”. Contemporaneamente, l’altra “anima” delle riunione della redazione a Roma è don Giacomo Tantardini, colui che aveva portato a Roma la proposta di Giussani.


Dal 1983, intanto, il settimanale viene potenziato: esce con una grafica rinnovata e un numero di pagine raddoppiato. I trenta giornalisti vengono equamente distribuiti tra Milano e Roma: al nord rimane il direttore Giuseppe Frangi con quindici redattori, mentre il condirettore Roberto Fontolan si trasferisce nella capitale, con un eguale numero di giornalisti. Il Sabato vende oltre 60mila copie e i lettori si aggirano sui 200mila. Sono gli anni di giornalisti come Lucio Brunelli e Antonio Socci, Renato Farina e Maurizio Caverzan, Maurizio Crippa e Irina Alberti, Riccardo Bonacina e Angiolino Lonardi, Luigi Amicone e Maria Antonietta Calabrò, Walter Gatti e Tommaso Ricci. Ma anche di collaboratori di Cl come Luca Doninelli o Massimo Borghesi ma anche laici o di destra, come Giacomo Contri o Marcello Veneziani,  Alfredo Cattabiani o Franco Branciaroli.


Nel 1986 il settimanale fu l’unico giornale italiano a pubblicare la foto del corpo sfigurato di padre Jerzy Popieluszko, barbaramente assassinato. Nell’89, poi, l’arrivo Paolo Liguori - un direttore “laico” e proveniente da un’esperienza giovanile in Lotta Continua – contribuisce ad aumentare l’aspetto trasversale e corsaro del settimanale, che avrà anche le rubriche fisse di Franco Cardini e Giano Accame (nella foto qui sopra) o l’arrivo nella redazione romana di Flavia Perina, proveniente dal Secolo d’Italia. Arriva poi a disegnare le copertine (ma anche l’interno) il pittore – già di Lotta Continua – Pablo Echaurren, che con la sua grafica ne caratterizzerà il nuovo formato. Echaurren era stato disegnatore anche per il quotidiano Lotta Continua ed erano sue anche la maggior parte delle copertine dei libri della Savelli, tra cui il già citato Porci con le ali… Fu il suo ex leader Adriano Sofri a suggerirgli di accettare: “Guarda – gli disse – che lì ritroverai un po’ lo spirito delle nostre esperienze”.

È questo il periodo di grandi campagne, da quella contro la deriva “pelagiana” e moralista del mondo cattolico a quelle più politiche contro l’intervento militare nella Guerra del Golfo e, all’inizio degli anni ’90, a favore del “governissimo”, espressione che venne coniata proprio dalle colonne del Sabato. L’idea era quella di mettere insieme tutte le forze popolari del quadro politico, da alcune correnti Dc al Pci, dal Psi sino ai missini, e contrapporle in nome di questo “governissimo” al fronte Segni-La Malfa-Confindustria”.In questo quadro, arrivarono nell’ultima fase anche giornalisti e collaboratori provenienti dalla sinistra: dai cronisti politici Tonino Satta e Francesco Lo Sardo sino agli intellettuali Beppe Vacca, Pasquale Serra e Duccio Trombadori . Poi, tra la fine del ’92 e il ’93 anche Il Sabato cominciò a risentire dell’imminente tracollo degli equilibri della Prima Repubblica. Si arriva, dopo quella di Alessandro Banfi, a una direzione di Rocco Buttiglione, ma dura poco. Il settimanale conclude le pubblicazioni con il numero del 30 ottobre ’93, al termine di un periodo critico dal punto di vista finanziario. La pattuglia di giornalisti e collaboratori si disperderà. Molti andranno in Rai, altri nelle principale testate – dal Corriere al Giornale sino a La Stampa – e c’è anche chi entrerà in politica. Qualcuno tende spesso a sottolineare il percorso di Formigoni e del direttore marketing del settimanale, Maurizio Lupi. Ma limitarsi a questo equivale a depotenziare e limitare l’ampiezza di quello che fu Il Sabato in quei quindici anni. Quello che resta è semmai la possibilità di un foglio “corsaro”, che in questi ultimi  vent’anni non s’è riuscito però a riproporre.





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