domenica 12 maggio 2013

Reinhold Messner: è nel deserto e nel silenzio che Mosè avvertì Dio


Alberto Pezzini


Siamo dentro il castello di Reinhold Messner. Quale è il futuro degli alpinisti una volta cessata l’attività? Un tema scottante, anche nell’alpinismo. La crisi affligge gli alpinisti che restano a piedi, dopo una vita spesa sulle montagne. Perché magari hanno saputo fare soltanto quello, o per colpa degli sponsor destinati a svanire come farfalle quando arriva la pioggia. In realtà lo sportivo è «spaesato quando si ritrova fuori dalla routine rassicurante del mondo nel quale ha vissuto per anni. L’unico modo per sopravvivere, almeno secondo Ed Webster, l’americano che aprì una nuova via pericolosissima sull’Everest negli anni ’80, è diversificare, cioè mettersi a scrivere o fotografare, dando modo alla propria creatività di sparigliare la fortuna. Secondo lui, certi libri come Annapurna di Maurice Herzog o Aria sottile di John Krakauer, continuano a vendere perché sono diventati prodotti capaci di camminare da soli sul filo dell’abisso. E quando incontriamo Messner, che oggi ha 69 anni, avremmo voglia di fargli le stesse domande. Ma ciò che oggi colpisce di questo leone di montagna, è la sua nuova vita, un suo diverso modo di essere. Forse non tutti sanno che anche Messner ammette di essere invecchiato. In Gobi (Ed. Mare Verticale, pp. 300), appena uscito, Reinhold ci offre un ritratto di se stesso “in ginocchio”, una specie di confessione. Siamo qui –  a casa sua – a Castel Firmiano, tra vigneti, montagne innevate e simboli religiosi che garriscono al vento, a chiedergli conferma di un’impressione così impietosa ma forse davvero umana, e quindi più vera.


È vero che lei nel deserto del Gobi si è sentito più solo che su qualunque altra montagna? «Premetto che ho deciso di attraversare il Gobi da solo, a sessant’anni. Dopo cinque anni di Parlamento Europeo, volli “staccare, e decisi di compiere un’ultima traversata orizzontale, una specie di camminata tra la vita e la morte. Oltretutto negli anni Ottanta non si poteva perché non rilasciavano i permessi. Io ho attraversato il Gobi nella parte della Mongolia, per 2000 chilometri, con uno zaino, un gps e una tanica speciale per l’acqua. In quella landa fatta soprattutto di pietre ho sentito per la prima volta nella mia vita una specie di buio nell’anima, una coltellata nella carne. Gli unici momenti di condivisione me li hanno dati le popolazioni di quel deserto, nella fascia mongola. Mi hanno ospitato in modo spontaneo nelle iurte, che sono abitazioni tipiche capaci di proteggere dal caldo micidiale e dal freddo più rigido. Non sapevano chi fossi, eppure mi aprivano le porte di casa loro…».
In questo suo ultimo libro lei si è messo a nudo per la prima volta nella sua vita, confessando anche paura, solitudine e la tentazione della disperazione perché temeva di non vedere più i suoi cari, la sua famiglia. Come mai la solitudine in mezzo a un deserto di pietre le è pesata molto di più di quella respirata a 8mila metri?
«Guardi, sono vecchio ormai. Ho sentito la solitudine anche perché ero davvero solo. Non potevo parlare con nessuno. Ho dovuto farmi bastare me stesso per lunghi tratti, il che è forse la cosa più difficile. Ma non è questo veramente. Ciò che mi ha reso insopportabile il Gobi è stata la coscienza dei miei limiti…».
E nella solitudine cosa si pensa o si prova del soprannaturale? «Non abbiamo occhi per vedere né orecchie per ascoltare altre voci che non siano le nostre. È interessante sapere che anche Mosè ha ricevuto le tavole della Legga, il decalogo, su di una montagna a cui tutti gli altri non potevano accedere perché gli era impedito».
La solitudine come una nuova, maledetta sorella di carne?
«Per me la solitudine è ciò che ci attende davvero dopo la vita. Dopo ci sarà soltanto buio, solitudine appunto e un silenzio assordante, tipo quello nello spazio». Oggi Messner scrive ancora con la penna? E scrive anche di qualcosa che sia paragonabile alla religione? «Io scrivo sempre a penna, sì. Sto scrivendo un libro sulle montagne sacre ed anche un altro libro che per me sarà un po’ la summa di tutte le mie esperienze. Conterrà almeno settanta valori, come l’altruismo, l’egoismo o la solitudine appunto. Li chiamo valori perché penso che siano tutti principi ontologici e tipici dell’uomo, che gli scorrono nel sangue quando viene al mondo. Nessuno glieli ha donati, li ha e basta». L’intervista è finita. È salito un vento teso ma Messner, prima di andarsene, mi sorride come se tutta la disperazione non fosse mai esistita. O forse, non è importante, perché bisogna pensare che passa.




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