mercoledì 22 maggio 2013

Se torna d’attualità una visione neo-ottomana (e adriatica) della geopolitica


Giuseppe Mancini


Il 15 maggio, Ankara ha ospitato il “Vertice trilaterale dei Balcani”: a cui hanno partecipato il padrone di casa, il presidente Abdullah Gül; il presidente della Serbia, Tomislav Nikolic; i tre membri della presidenza collettiva della Bosnia Erzegovina, Bakir Izetbegović, Željko Komšić e Nebojša Radmanović. La dichiarazione finale è la riaffermazione – convinta e operativa – di una volontà di maggiore cooperazione regionale, di una comune prospettiva europea, di progetti condivisi di rilevanza culturale ed economica: e proprio il giorno precedente – sempre ad Ankara – è stato istituito un comitato trilaterale per il commercio. “Sono felice di dire che i leader dei paesi balcanici hanno deciso di lasciarsi alle spalle le agonie e le influenze del passato, aprendo la strada a una trasformazione delle mentalità oggi orientate in direzione di un brillante futuro”: queste le parole di Gül nell'indirizzo di benvenuto del vertice, a cui è stato assegnato l'impegnativo slogan “costruire il futuro insieme”. E in questa trasformazione, il ruolo della Turchia è stato determinante.Nella nuova politica estera ideata e poi condotta dal ministro Ahmet Davutoğlu, infatti, i Balcani ricevono massima attenzione e visibilità: l'obiettivo dichiarato è quello di ripristinare i legami di epoca ottomana – culturali, economici e politici – recisi con la fine dell'impero e la nascita della repubblica; legami di natura diversa, oggi paritaria e condivisa: per questo motivo il capo della diplomazia di Ankara ha sempre respinto la definizione di “neo-ottomanismo” data al suo approccio, che suggerisce – erroneamente – pulsioni imperialiste. Davutoğlu ha assunto le funzioni ministeriali il 1° maggio 2009: e già dal mese successivo la Turchia – per un anno intero – ha assicurato la presidenza del “Processo di cooperazione dell'europa sud-orientale (Seecp, nell'acronimo inglese), dandole nuovo slancio: come dimostra la “dichiarazione di Istanbul” – del 23 giugno 2010 – in cui i dodici ministri degli esteri degli stati balcanici hanno rivendicato un destino di pace duratura, di stabilità, di sviluppo economico e sociale – nel pieno rispetto della democrazia e dei diritti umani.Visite di stato e iniziative di mediazione turche hanno reso per molti stati la pace e la prospettiva euro-atlantica più vicine. Basti pensare alla formula capace di riannodare i rapporti frantumati – attraverso incontri trilaterali – tra Serbia, Bosnia e Croazia: con il primo dei vertici trilaterali dei Balcani a livello presidenziale – presenti: Gül, il bosniaco Haris Silajdžić e il serbo Boris Tadić – che si è tenuto a Istanbul il 24 aprile 2010. Quel vertice è stato il preludio al viaggio del premier Erdoğan a Srebrenica, nel luglio successivo: per partecipare alla cerimonia di commemorazione del massacro di Srebrenica – nel quindicesimo anniversario – insieme ai presidenti bosniaco e serbo (dopo aver convinto la Serbia a scusarsi con formale risoluzione parlamentare).


La visione del ministro degli esteri turco – per “un futuro migliore nei Balcani” – è basata su alcuni espliciti capisaldi: appartenenza regionale e inclusività: perché sono gli stati balcanici e non le potenze esterme a doverlo determinare; integrazione regionale, fondata sulla cooperazione culturale e la interdipendenza economica; ingresso collettivo nelle istituzioni euro-atlantiche; posizioni comuni nei grandi raggruppamenti internazionali politici ed economici (e la Turchia vuole fare da portavoce, ovviamente). Una “pax ottomana”, ma del XXI secolo. Le premesse di questa visione sono già tutte nel celebre discorso di Davutoğlu a Sarajevo, del 16 ottobre 2009: rivendicò l'eredità ideale dell'Impero ottomano fatta d’integrazione multi-culturale e multi-religiosa, di apertura agli scambi e centralità nell’economia globale dell'epoca, di circolazione delle élites citando i casi del bosniaco Mehmed Sokolović divenuto il gran Vizir Mehmet Paša Sokollu e dell'albanese Mehmet Ali divenuto Khedive e fondatore dell'Egitto moderno. “Come il XVI secolo vide l'affermazione dei Balcani ottomani in quanto centro della politica mondiale, renderemo in futuro i Balcani, il Caucaso e il Medio oriente di nuovo il centro della politica mondiale. Questo è l'obiettivo della politica estera turca: e lo conseguiremo!” Proprio a Sarajevo si terrà il prossimo vertice trilaterale dei Balcani, nel 2014.

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