martedì 9 luglio 2013

Rifare An? Ecco le impressioni di uno spettatore non nostalgico del convegno di Lecce







Pierantonio De Matteis


  • Ho avuto modo di assistere a una parte del dibattito di sabato 29 giugno a Lecce sulla rifondazione di An e ne sono uscito con le idee più confuse di quando c'ero entrato. D'accordo, si rifà Forza Italia e allora tocca fare qualcosa anche sul versante destro della coalizione. Ma perché partire già sapendo con chi allearsi e, in questo caso, a chi portare i voti? Alemanno dichiara candidamente che è lo stesso Berlusconi a chiedere di riformulare il centrodestra. Cioè, si ricostruisce An perché lo chiede il capo di un altro partito? E che autonomia potrebbe avere la ri-nascente An se queste sono le condizioni nelle quali viene pensata? Cioè non solo non è possibile discutere la collocazione politica e le alleanze, ma la si realizza su commissione? Che bisogno c'è di fare un'altra “cosetta nera” alle dipendenze del padrone di sempre? E stavolta per giunta con i soldi della fondazione An. E poi ancora, i temi dai quali ripartire: ho sentito Alemanno fare implicito riferimento a quel documento di destra ritrovata di quando arrivarono ad un passo dal rovesciare il partito per le posizioni sulla fecondazione assistita. Ma è di una destra clerical-conservatrice che stiamo parlando? C'è proprio bisogno di un partito che sia custode di un ideal-tipo di società e di famiglia che ormai non esistono più? Così come le commemorazioni delle settimane scorse che hanno visto tutte le frange della quasi-diaspora alleanzina omaggiare la figura di Almirante, è il modello della destra nazionale e della maggioranza silenziosa che si vuole perseguire? 
  • Già in An, come per la verità era successo nel Msi, convivevano diversi tipi di destra, da quella legge e ordine a quella comunitaria, da quella sociale a quella liberale e liberista. Ma non è un discorso sulle definizioni, che poi sono poco più di etichette messe a caso che cambierà l'approccio verso questi tentativi di ricostruzione di An. O di ripartenza da An, esattamente dal “minuto prima in cui me ne sono andato” ha specificato Storace. Resettare gli ultimi cinque anni. Fosse facile. Fosse possibile. E anche al netto dei rapporti personali tra di loro, che ne sono usciti certamente più che logori e di cui comunque poco frega, ci sono fratture aperte sul territorio in quella che era la loro comunità. Ma non è ancora questo il punto. Non può essere un discorso personale. E' e deve essere un discorso di prospettiva. Che respiro garantisce un tentativo del genere se parte da chi ora contesta un percorso (scioglimento di An, fondazione del Pdl e annessi) al punto da volerlo resettare e quando fu chiamato a decidere fu incapace di incanalarlo lungo la strada delle regole e delle dinamiche democratiche interne? 
  • E se anche si riuscisse a fare una nuova An, democratica e meritocratica, a che servirebbe se poi ci si allea con chi tutto ciò l'ha sempre negato? Alemanno ha detto che non deve essere il partito del tacco12 e dell'ostentazione della ricchezza. Giusto. Ma se poi ci si riduce a fare i fratelli poveri di chi batte carte nel centrodestra, a che serve? Che senso ha imporre regole di condotta se poi si avallano i peggiori comportamenti da parte di chi dovrà guidare la coalizione? E perché questo doppiopesismo? Che senso ha darsi queste giuste regole interne se poi non le si pretende anche dagli alleati? Certo, se l'obiettivo fosse solo riuscire a mettere le mani sui soldi della fondazione o trovare un posto per chi è rimasto a terra, questi interrogativi sarebbero inutili. E forse lo sono. Ma se invece l'obiettivo fosse un po' più ambizioso, come ad esempio uscire dalla marginalità politica nella quale la destra s'è cacciata per sue incapacità culturali prima ancora che organizzative, allora toccherebbe ripartire da lì. Ripensare il concetto di destra alla luce di questo secolo e delle sue questione e possibilmente con la prospettiva dei prossimi decenni e lavorare da un punto di vista programmatico, di elaborazione culturale e di formazione di una nuova classe dirigente. Investire sulla cultura e sulla formazione garantirebbe un futuro a questa parte politica ma non a questa dirigenza politica. E' una questione di scelte. E mi sa che una esclude l'altra

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