martedì 6 agosto 2013

Da Pound a Morin, da Pasolini a Giono: tracce per un nuovo (e vero) ambientalismo


Lorenzo Randolfi
Piaccia o meno la Modernità è il tempo in cui viviamo. Per qualcuno (i teorici del postmodernismo) essa apparterrebbe al passato. Al contrario, e noi ne siamo convinti, la nostra visione del modo si muove ancora entro le coordinate del pensiero moderno. La logica di fondo della nostra vita quotidiana, delle nostre scelte politiche, in sostanza della civiltà odierna, è figlia di un lungo processo iniziato più o meno con Cartesio e definitosi soprattutto con gli illuministi. Un processo di civilizzazione diffusosi in quattro secoli in tutto il mondo venendo a dar forma a una solida “unicultura” che lega tutti i popoli, a dispetto del tanto sbandierato multiculturalismo. Anzi modernizzazione e civilizzazione sono divenuti sinonimi (basterebbe citare alcune affermazioni di Ezra Pound e di Pier Paolo Pasolini e tale equazione cadrebbe).

Cosa è la civiltà moderna? Il suo concetto di base è una razionalità che si risolve nella funzionalità, quindi nel raggiungimento di uno scopo. In pratica una logica che pone l'accento sul potere dell'uomo; una logica che consente il dominio dell'uomo (soggetto) su ciò che lo circonda (oggetto, natura). La razionalizzazione dell'esistente. Una visione economica, utilitaristica della vita. Suoi corollari: il facile e datato mito del progresso, l'industrialismo, il capitalismo fine a se stesso, l'urbanizzazione, la mentalità borghese e consumista e specularmente il socialismo burocratico.

A questo punto inutile dire che non serve a nulla “avere il mondo in gran dispitto” sperando di restaurare presunte età dell'oro. Certo è che guardandosi attorno viene da dar ragione a Max Horkheimer, filosofo della Scuola di Francoforte, che in un famoso libro-chiave scritto con Adorno (Dialettica dell'illuminismo-1947) identificando il concetto di Illuminismo con la logica di dominio dell'uomo occidentale, così si espresse: “L'Illuminismo ha perseguito da sempre l'obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata splende all'insegna di trionfale sventura.” Sventura palese quando si guarda agli effetti del nostro modello di civiltà sull'ecosistema, sull'ambiente naturale.Una nota esperta di bioetica, Luisella Battaglia (un tempo attiva anche interloquendo nei dibattiti della Nuova Destra) ha voluto, quindi, approfondire il problematico rapporto tra l'uomo e l'ambiente che lo circonda. Uno dei suoi libri, Alle origini dell'etica ambientale. Uomo, natura, animali in Voltaire, Thoreau, Gandhi, ha l'intento di cercare di comprendere alla radice la problematica, provando a rintracciarne le ragioni culturali , per poi delineare una proposta di cambiamento: l'ipotesi di una nuova etica che renda possibile l'armonia tra l'uomo e la natura. Un brano del suo libro è illuminante: “Perchè si è incilini a pensare all'umanesimo e all'ecologismo come a termini antinomici? La persuasione che esista un'antinomia trae origine, in realtà, da un duplice equivoco: quello di chi identifica l'umanesimo con un antropocentrismo forte (ideologia del dominio incontrastato dell'uomo sulla natura che giustifica e razionalizza l'idea che esista solo per la sua utilità e il suo piacere) e quello che identifica l'ecologismo con il fondamentalismo biocentrico (ideologia che ribalta il rapporto di dominio uomo/natura in uno di sottomissione). Da qui nascono le idee simmetriche di un umanesimo necessariamente anti-ecologico, attestato dalla convinzione che occorra difendere l'uomo e i suoi valori contro la sacralizzazione della natura; e di un ecologismo necessariamente antiumanistico, persuaso che, per difendere la natura, occorra mettere sotto accusa la tradizione stessa dell'Occidente. In realtà, non occorre essere fondamentalisti per condannare lo sfruttamento della natura, ne aderire all'antropocentrismo per difendere la dignità dell'uomo: si correrebbe altrimenti, il rischio di immaginare preoccupati, gli uni, esclusivamente dei diritti umani e gli altri dei diritti della natura".E tuttavia il dibattito non è inutile perché, oltre a rivelare le nostre controversie in materia ambientale, serve a illuminare i punti ciechi delle due posizioni e a fare emergere i presupposti simmetrici degli uni e degli altri. Ci troviamo indubbiamente di fronte a due concezioni antagonistiche del rapporto uomo/natura: quella antropocentrica prescrive la disgiunzione tra soggetto-uomo e oggetto-natura e determina ciò che vi è di specifico nell'uomo con l'esclusione dell'idea di natura; quella ecologista prescrive l'inclusione dell'umano nel naturale e rifiuta l'idea stessa di specificità umana col fare dell'uomo un essere naturale. Modelli, dunque, opposti ma accomunati da un paradigma di semplificazione che (prescrivendo la separazione tra umano e naturale o la riduzione dell'umano al naturale) impedisce di concepire la complessità delle relazioni reciprocamente costitutiva, a un tempo, di inerenza e di distinzione tra i due termini. Se con l'umanesimo giunge al suo compimento la visione dell'uomo come misura del mondo, sbaglieremmo a considerarlo come la semplice realizzazione dell'ideale antropocentrico. Certo, se pensassimo che l'umanesimo sia la filosofia di un uomo soggetto di un mondo di oggetti, sarebbe difficile non dichiarare la necessità della sua decostruzione. Ma si tratta dell'umanesimo o solo di una sua versione? In realtà se qualcosa occorre decostruire è ciò che Edgar Morin ha definito “l'autoidolatria dell'uomo”: una teoria, dunque, chiusa e semplificata dell'umanesimo.


“Decostruire l'autoidolatria dell'uomo”, detto in semplici parole: fine dell'arroganza, della superbia dell'uomo. Un'operazione, almeno dal punto di vista teorico, più semplice di quanto si pensi. Utile la lezione di Mario Tozzi, noto giornalista di La7 e Rai, nonché convinto ambientalista. Durante una trasmissione di qualche anno fa spiegò con un esempio le giuste proporzioni dell'essere umano, svelando che: “Mettendo su una linea lunga 1 metro l'intero corso della storia del mondo dalla sua origine, l'uomo inizia il suo cammino solo nell'ultimo millimetro. Ciò a dire che la presenza dell'uomo è marginale nella storia terrestre. ” Ne consegue un ridimensionamento dell'umanità, e quindi la fine dell'antropocentrismo esasperato e distruttivo. Al suo posto un umanesimo ecologico, con le parole della stessa Luisella Battaglia; una sorta di rivoluzione copernicana, la fine della contraddizione tra uomo e natura.
Nel delineare questo nuovo corso della civiltà, la riflessione potrebbe continuare passando in campi più affascinanti come la quello religioso e quello letterario. Potremmo allora citare figure come Gandhi oppure, in un ottica cristiana e trascendentale, San Francesco d'Assisi con il suo Cantico delle Creature. E ancora, scrittori come Knut Hamsun. Personalmente, poi, sono legato allo scrittore Jean Giono.


Figura interessante della letteratura francese, caduto nell'oblio per molto tempo dopo la guerra a causa della sua partecipazione alla rivista collaborazionista La gerbe di Alphonse De Chateaubriant. I suoi libri - Collina, L'uomo che piantava gli alberi e Risvegli - sono connotati da una visione pagana, panteistica dell'esistenza: l'unione dell'uomo con l'Universo. A leggerli si resta affascinati dalla sua capacità di trasmettere “il canto del mondo”, raccontando un mondo agreste dai tratti ancestrali, esoterici, dove il divino è in ogni cosa e Tutto conta.Come si nota, nelle prospettive intellettuali delle diverse personalità sin qui menzionate è possibile riscontrare un denominatore comune al di là delle appartenenze ideologiche: la possibilità di conciliare l'uomo con la natura. Possibilità che può risultare utopistica, irrealizzabile. Ma Il pensare un mondo diverso è proprio dell'essere umano. Non si tratta di fermare il corso del tempo e tornare ad epoche precedenti. Non sarebbe possibile. Ogni uomo deve vivere il suo tempo, contaminarsi con esso, viverne le contraddizioni e tentare di risolverle. La partita in gioco della questione ambientale non è di poco conto. Non è limitata al rinvenimento di mezzi che limitino i danni all'ambiente. Essa ha carattere espansivo. La politica è chiamata ad affrontare problemi di grande portata: la crescita demografica mondiale, la problematica alimentare e idrica, la questione delle terre fertili; problemi che coinvolgono la pianificazione territoriale l'urbanistica, fino alla necessità di improntare relazioni internazionali che tengano conto della ristrettezza di risorse e quindi della loro necessaria condivisione. Basta osservare la situazione storica in cui viviamo e le aporie del modello culturale ed economico che ci appartiene per renderci conto che forse un mondo diverso non è poi così lontano da venire. “E' possibile la crescita infinita in uno spazio finito?” osservava infatti Alain de Benoist. E sta ancora lì la questione.

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