lunedì 5 agosto 2013

La via dell’Impero di Marino lastricata di contraddizioni


Marina Maugeri
Lo scorso sabato il nuovo sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha inaugurato in Via dei Fori Imperiali l'attesa pedonalizzazione del tratto tra largo Corrado Ricci e il Colosseo, affermando con le parole del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano l’intenzione di procedere “verso l’attuazione del grande Parco Archeologico tra il centro della città e l'Appia Antica, secondo la visione anticipatrice di numerosi archeologi, uomini di cultura e amministratori locali, e tra questi in particolare Antonio Cederna, Giulio Carlo Argan e Luigi Petroselli". Un percorso che non va demonizzato ma su cui occorre comunque fare delle precisazioni di merito. La valorizzazione dei beni archeologici della Città procederà, infatti, secondo le prospettive annunciate con la prassi di rimozione del tratto di Via, piuttosto che “conservativa” dei beni, rimuovendo le preesistenze moderne a partire da un giudizio di natura ideologica senza tenere conto dell’istanza storica. Il tratto di strada bollato come esempio di “richiamo a retoriche belliciste si ispirò in effetti a richiami altrettanto ideologici, ma in termini storici più complessi di quelli ascrivibili alle pretese di potenza innestate nel passato sul culto della romanità.Il tratto urbano era stato, infatti, concepito fra il 1927 e il 1932 allo scopo di ricongiungere idealmente il ricordo della civiltà di Roma antica con il patriottismonovecentesco e la memoria del sacrificio dei fanti-contadini della Prima guerra mondiale, collegandosi idealmente, almeno in parte, alle istanze storiche che avevano ispirato il monumento pre-fascista dell’Altare della Patria, il cui innalzamento voluto con un concorso nel 1880 aveva deturpato intenzionalmente il profilo dell’Ara Coeli e del complesso capitolino per imporre una certa visione ideologica tipica delle classi dirigenti del nuovo Stato nato dal Risorgimento ed era stato inaugurato da Ernesto Nathan, sindaco repubblicano, massone e laico.La “Via dell’Impero”, aperta al pubblico da Mussolini che montava a cavallo sotto lo sguardo dei mutilati della grande Guerra, aveva celebrato un tipo di Patria di stampo romantico e ottocentesco, promuovendo una modernità di gusto “futurista” nell’idea di realizzare una grande arteria che sfrecciava arditamente fra i fori vetusti, per la cui costruzione era stato sacrificato il quartiere “alessandrino” e le preesistenze medioevali e rinascimentali, abitazioni, conventi e chiese. La denominazione di "Via dell'Impero" non riguardò, perciò, solo l’area che va da Piazza Venezia alla piazza del Colosseo, divenuta raggiungibile con l'eliminazione dell'antica collina della Velia,ma anche le attuali vie "di San Gregorio" e "delle Terme di Caracalla", perché il nastro d’asfalto che solcava una parte della Città eterna aveva la pretesa di travasare il fiume dell’antichità nella “via del Mare”, sfociando nell’Eur, il trentaduesimo quartiere di Roma costruito in occasione della fiera internazionale del 1935 su proposta di Giuseppe Bottai.Il “miglio d’oro” contestato dall'attuale giunta ha quindi un notevole significato simbolico, storico e culturale. Via dei Fori imperiali, non è semplicemente una Via dove imperversano le auto blu del potere, ma uno snodo cruciale di storia, un pezzo di cultura moderna che pone un problema dal punto di vista del senso storico da attribuire alle tracce del passato più recente che disegnano il profilo di un paesaggio e, a maggior ragione, quello della città. Se un “bene culturale” si definisce, infatti, anche in quanto "bene comune" perché riveste il complesso spirituale e materiale che un popolo eredita dal passato ed è espressione di un’esperienza all’interno di una storia che contribuisce ad edificare il profilo di quella storia, questo tratto urbano dovrebbe essere considerato con un riguardo particolare.Fuori dalla tifoseria ideologica, infatti, il progetto del sindaco assume i contorni di una questione importante, niente affatto scontata e con notevoli implicazioni pratiche. Se su Via dei Fori Imperiali dovesse insistere, poi, anche il vincolo di una tutela, derivante dal significato eminentemente storico di una testimonianza risalente ormai a più di 50 anni fa, la sua cancellazione contravverrebbe proprio quella cultura della tutela che il Nuovo Codice dei beni culturali ha assorbito tout court dalla legge Bottai del 1939, che è stata un caposaldo storico nella normativa sui beni. Anche se in assenza di una ricognizione e di un’istruttoria da parte dell'autorità preposta alla tutela il vincolo non può ritenersi automaticamente esercitato, rimane sul campo un problema di percezione culturale della preesistenza moderna. Inoltre, vincoli a parte, se l’obiettivo della “chirurgia estetica” dell’attuale sindaco di Roma è quello di creare un parco archeologico che dovrebbe estendersi da Via dei Fori Imperiali all’Appia Antica va segnalato che proprio in questa area ricadono tutte preesistenze archeologiche di proprietà dello Stato, perciò di competenza esclusiva degli organismi periferici del Ministero dei Beni Culturali e non del Comune di Roma.L’amministrazione capitolina in queste aree non dovrebbe avere nessuna competenza e la sua azione dovrebbe limitarsi perciò alla pedonalizzazione, alla giusta promozione quindi di quella sensibilità civica per la tutela dei beni culturali necessaria al rispetto della dignità dei monumenti storici. Il sindaco avrebbe, inoltre, il dovere e l’obbligo di preservare degnamente il patrimonio storico e archeologico di proprietà del Comune dal degrado, a cominciare dal sistema delle mura antiche, dalle cui millenarie pietre sgorgano numerose ferite.La “Via dell’Impero” di Marino è, almeno al momento, lastricata di molte contraddizioni, che rispecchiano il generale clima di arretramento della cultura della tutela in tutti questi anni, il quale si esprime sotto il profilo di un’insensibilità generalizzata e trasversale di fronte alle reali necessità del patrimonio storico artistico. Come dimostra anche l’appalto del tanto declamato restauro del Colosseo, bandito dal Commissario straordinario per le aree archeologiche di Roma con una gara in cui la categoria di lavori richiesta alle imprese partecipanti si “confonde” con quella afferente ai lavori dell’edilizia, non coincidendo con le operazioni di restauro descritte nella perizia dei lavori, per le quali la legge prevede un’apposita categoria specialistica. Ma questa è tutta un’altra storia...


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