venerdì 18 ottobre 2013

Storia del Secolo: la questione Alto Adige e una musulmana in redazione...



Luciano Lanna

All’inizio degli anni Sessanta sono i ragazzi della Giovane Italia ad avere l’egemonia incontrastata nei licei e nelle scuole italiane. Già nel 1956 con i fatti d’Ungheria erano stati gli studenti di destra a portare in piazza migliaia e migliaia di ragazzi e a fare in modo che le scuole e le università diventassero deserte. E sarà così anche, tra il 1961 e il 1963, per i fatti dell’Alto Adige. Lo ha raccontato anche un testimone non di parte come il futuro cantautore Antonello Venditti, il quale nell’autunno del ’63 si iscrive al quarto ginnasio presso il liceo romano Giulio Cesare: “Era già luogo di tensioni e di avanguardia ma non non mi accorgevo ancora di nulla… Così scoprii che in classe mia c’erano i fascisti, c’erano i liberali, c’era gente che la pensava in modi diversi. La mia è stata la prima scuola ad avere la polizia davanti, le prime scritte nere sui muri. Era una zona di destra: nel versante sud (piazza Istria e piazza Annibaliano) fino al 1966 agivano soltanto la Giovane Italia e i giovani liberali. E mi resi conto di tutto ciò con la vicenda del Tirolo. Fui fermato davanti ai cancelli, reclutato dalla Giovane Italia e portato in corteo. Tutti gridavano: ‘Il Tirolo a noi!’…”. In effetti, da due anni la questione era scottante. I terroristi altoatesini, che volevano l’annessione dell’Alto Adige all’Austria, avevano iniziato una campagna a suon di attentati dinamitardi. Il 29 gennaio 1961 era stato fatto saltare il monumento equestre al genio del lavoro italiano; il 12 giugno dello stesso anno ci fu la cosiddetta “notte dei fuochi” quando vennero fatti saltare ben 42 tralicci dell’alta tensione; stessa cosa il 13 luglio con l’attentato a otto tralicci. Quelli del Secolo mandano subito un inviato, che scriverà diversi reportage dall’Alto Adige. 

E’ il giovanissimo Gino Agnese, un ragazzo di Napoli che aveva iniziato il suo praticantato nella redazione del Secolo nel luglio del 1960, anche se già da due anni collaborava da Napoli alla redazione della pagina partenopea che veniva allestita con la collaborazione di Gianni Roberti e un giornalista come Vittorio Paliotti. Bisogna ricordare che Roberti era un importante parlamentare napoletano, oltre che un accademico e un giuslavorista di vaglia, così come napoletano era Franz Turchi, allora proprietario e anche direttore del giornale. Quando il giovane Gino ha appena vent’anni, arriva in redazione e vi trova un gruppo di oltre trenta giornalisti, molti dei quali di grande professionalità. C’era Luigi Mosillo, unico esperto di economia che poi andrà alla Rai e quindi All’AdnKronos; c’era Nunzio Candeloro, grande frequentatore la sera di via Veneto e che fu il primo giornalista italiano a scoprire e lanciare Mina (in seguito andrà al Messaggero); c’era Pino Passalacqua, che diventerà un importante critico cinematografico; c’era il capocronista Enrico Camaleone; c’era il giornalista sportivo Ernesto Mezzabotta; c’era Ferruccio Albanese, che dopo qualche anno a Lo Specchio andrà anche lui al Messaggero; capo degli Interni era Silvano Drago, un profugo istriano. Accanto a questa pattuglia redazionale arrivarono quindi tre giovanissimi: Gino, Ottorino Gurgo e Mario Caccavale. Gurgo uscì a far scrivere sul giornale anche la sua fidanzata, e poi futura moglie: Ajla Kamil, una ragazza il cui padre era un importante personaggio egiziano che aveva dovuto lasciare il suo paese dopo la presa del potere da parte di Nasser e il cui nonno era un esponente della classe dirigente turca ottomana. La ragazza collaborò per qualche anno scrivendo di Medio Oriente e di quella realtà musulmana che rappresentava l’identità della sua famiglia.


“Io – racconta Agnese – ero il più giovane di tutti e oltre a fare l’inviato quando serviva, come fu per l’Alto Adige, scrivevo corsivi e cominciavo a suggerire innovazioni grafiche…”. E i suo ricordi sono forti: “Ogni sera arrivava il direttore-fondatore, passeggiava per la redazione e si sentiva ripetere: ‘Buonasera, senatore’. Mentre quando stava nella sua stanza Turchi chiamava Almirante con il campanello e allora si sentiva la voce del futuro leader missino: ‘Franz, mi hai chiamato?’. Era, il nostro, un vero giornale e lo dico anche alla luce della mia successiva esperienza al Tempo di Angiolillo…”. Ma il personaggio più affascinante è, stando ai ricordi di Agnese, senz’altro il terzo direttore: Filippo Anfuso: “Elegante, di gran classe, abitava sopra il caffè Rosati di piazza del Popolo. Si diceva che Vitaliano Brancati si fosse ispirato a lui, che era stato legionario fiumano, giornalista, poi ambasciatore, per descrivere il protagonista del suo romanzo Il bell’Antonio. Anfuso scriveva ogni giorno un corsivo e anche un articolo di politica estera, ma senza firmare, non ci teneva…”. L’ultimo ricordo di Gino Agnese per quanto riguarda questi anni è la sottovalutazione e la scarsa considerazione che al giornale si ebbe per il Concilio Vaticano II, che era stato annunciato da Papa Giovanni il 25 dicembre 1961 con la costituzione apostolica Humanae salutis e indetto l’11 ottobre 1962. “La cosa paradossale – aggiunge Agnese – è che Franz Turchi proprio per questo evento assunse al giornale un vaticanista, Alvise Artissi, col solo effetto di provocare le gelosie e il risentimento di tanti redattori che si sentirono scavalcati. Ma fatto sta, comunque, che del Concilio, a cominciare dall’esperto assunto, noi non ci capimmo niente…”.

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