venerdì 22 novembre 2013

Arturo Pérez-Reverte: scrittore che Conrad avrebbe definito "uno di noi"


Luciano Lanna


Da tempo un romanzo non mi emozionava come è stato per Il tango della vecchia guardia di Arturo Pérez-Reverte (Rizzoli, pp. 490 euro 18,00), uno dei narratori che mi sono più cari. Soprattutto, mi sono sinceramente commosso nelle ultime pagine, quando il protagonista e io narrante, Max Costa – già ragazzo dei bassifondi di Buenos Aires, poi legionario nel Tercio spagnolo, poi avventuriero, ballerino mondano, ladro gentiluomo alla Arsenio Lupin e tanto altro – esce di scena, alla grande, a 64 anni, lasciandosi tutto dietro e fischiettando L’uomo che sbancò Montecarlo… È un personaggio di quelli che Joseph Conrad (di cui, non a caso, è l’epigrafe esergo del romanzo) definiva “uno di noi”. Uno, tanto per dire, capace, almeno una volta nella sua vita, di mettere tutto ciò che aveva sul tappeto verde di un casinò e di tornare a casa sul predellino di un tram, completamente in rovina, fischiettando proprio L’uomo che sbancò Montecarlo con apparente indifferenza… 
Il tango della vecchia guardia è un romanzo, a mio avviso, di grande forza narrativa e di vera letteratura che suggerisco a tutti gli amici. “Per molto tempo – ha spiegato l’autore – la letteratura era stata purtroppo sequestrata da una banda di intellettuali snob che sostenevano che l’unico romanzo possibile fosse quello in cui si diceva che non era possibile scrivere un romanzo. Si deve a costoro se i lettori hanno disertato la lettura preferendole la televisione…”. Nato a Cartagena nel 1951, Pérez-Reverte è stato per vent’anni uno dei migliori reporter di guerra europei in Libano in Eritrea, alle Malvinas, in Nicaragua, in Mozambico, in Romania, in Bosnia e in altre zone calde del pianeta. A un certo punto, disgustato dalle guerre degli anni Novanta e dalla logica della politica, ha smesso di fare il giornalista e si è buttato sulla sua antica e vera passione: i libri e la letteratura d’avventura. Precisando: “Se un giorno la mia casa dovesse andare a fuoco e io dovessi scegliere un libro da salvare, non prenderei però né Don ChisciotteLa montagna incantata ma i mio libri a fumetti di Tintin…”.  Del resto qualcosa ha sempre accomunato il giovane giornalista dei fumetti disegnato da Hergé con l’ex reporter spagnolo – lo chiamavano “Rambito” – che è autore di alcuni dei più letti best seller europei degli ultimi vent’anni: Il Club Dumas (da cui Polanski trasse il film La nona porta), La carta sferica, Le avventure del Capitano Alatriste, Il maestro di scherma, La tavola fiamminga
Oggi, a sessantadue anni, sostiene di preferire leggere libri di storia e soprattutto i classici latini e greci, che trova terapeutici: “I classici sono un analgesico, aiutano a sopportare il dolore. Anche questo si chiama invecchiare…” Di quest’ultimo romanzo, Il tango della vecchia guardia, da noi uscito ad agosto per l’editore Rizzoli con la traduzione di Bruno Arpaia, c’è da dire che si entra subito nell’incanto di pagine intrecciate a brani musicali, a ballate romantiche e nere, a Vecchio Frac di Modugno, al Bolero di Ravel, addirittura alle canzoni di Rita Pavone e Gianni Morandi, sino al tango di Carlos Gardel… Pérez-Reverte è in fondo anche questo: una capacità straordinaria di aprire come pochi squarci affascinanti dell’immaginario, non solo letterario, dell’Ottocento e del Novecento europei. Lo ammette lui stesso: “Nella mia biblioteca sterminata ci sono più o meno trentamila libri. Per i libri perdo la testa, come una volta anche per le donne, anche se ormai è acqua passata. E ci sono autori fondamentali nel corso della vita, con alcuni continua c’è una magica sintonia. Lord Jim di Conrad l’avrò letto almeno quindici volte, e ogni volta che lo rileggo trovo delle cose nuove. Devo molto a Dumas, Salgari, Verne…”.



Il protagonista de Il tango della vecchia guardia, un uomo che nasce nel 1902, attraversa il Novecento da autentico “anarca” jüngeriano, sfiorando e contaminandosi con i grandi eventi del secolo – l’incontro tra vecchio e nuovo mondo, la prima e la seconda guerra mondiale, la guerra di Spagna, la guerra fredda – senza però mai identificarsene: “Quando vedo – ammette a un certo punto – quelle camicie nere, marroni, rosse o azzurre che pretendono che ti iscriva a questo o quello penso solo che prima il mondo era dei ricchi e ora dei risentiti. Ma io non sono né l’uno né l’altro…”. Il tango e il gioco degli scacchi sono la metafora di una partita del singolo di fronte alla storia in cui quello che conta sono solo la libertà e lo stile… Max Costa si troverà, suo malgrado, al centro di vicende storiche, e dovrà scegliere non compromettendo mai la sua libertà interiore e il suo stile… In scenari tutti mediterranei – Nizza, Montecarlo, Sorrento – il protagonista non avrà remore a giocare la sua parte, consapevole dello squallore e del nichilismo che unifica franchisti e sovietici, comunisti e capitalisti, malavitosi e spie. E guarda caso, costretto a svolgere la sua parte, andrà fino in fondo contro il Kgb negli anni Sessanta, ma anni prima dovendo decidersi tra la fedeltà a una spia franchista (che lui credeva repubblicana) e a quella agli agenti dell’Italia fascista, non esiterà minimamente a “scegliere” questi ultimi. “Quando ho messo in scena i due agenti di Mussolini – ha ammesso Peréz-Reverte  la scrittura si è andata modificando, è emersa la mia empatia verso l’Italia, verso il suo sentimento di umanità e compassione che ho imparato ad amare nei film di Vittorio De Sica, un sentimento sconosciuto agli spagnoli…”. Una cosa è certa. Il tango della vecchia guardia non è, come qualcuno ha scritto, solo una storia d’amore. Quella tra il protagonista e la bellissima Mecha Inzunza. C’è anche questo, ma solo come una metafora di quello che potrebbe essere nella vita ma che, a volte, può essere trasceso dal destino. Max Costa incontra la “sua” donna solo tre volte nella sua vita. Nel 1928, nel 1937, nel 1966… E quelle tre volte sono gli snodi della sua vita. Ma è stata “la” donna della sua vita. “Max si mise il cappello e scese dalla macchina abbottonandosi l’impermeabile. Prese dal portabagagli la valigia e la borsa da viaggio e se ne andò senza aprire bocca né guardarsi indietro, tra gli schizzi della pioggia. Sentiva una tristezza intensa, fastidiosa: una specie di nostalgia anticipata per quello che in seguito avrebbe rimpianto…”.  Tra l’Argentina, l’Africa legionaria del Nord, la Spagna, l’Italia, Istanbul, Parigi e la Costa Azzurra Max gioca tutta la sua partita. Non solo il suo passato. “Io ho sempre saputo – ha ammesso una vota Pérez-Reverte – che non devo mai vergognarmi del mio passato, che non è soltanto spagnolo, ma anche europeo, romano e latino, in cui ci sono il Marocco e l’America, Conrad e Tintin, la Bibbia e l’Islam…”. Max Costa, ma anche Arturo Pérez-Reverte: senza dubbio, due “di noi”.

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