venerdì 22 novembre 2013

Femminicidi: non ci salverà la giornata antiviolenza...





Annalisa Terranova

Ho letto che la violenza contro le donne ha un costo sociale di 17 miliardi. Bè sarebbe uno sfregio alla civiltà anche se non fosse monetizzabile, anche se fosse a costo zero. E così il 25 novembre si celebrerà questa giornata contro i femminicidi. Una data pericolosa, in un certo senso, perché "lava" le coscienze e cristallizza il dovere di denuncia in una serie di frasi fatte, incastonate tra espressioni amare di circostanza.

Poi c'è la presidente della Camera, Laura Boldrini, che sentenzia sull'educazione familiare: parità subito, tra fratelli e sorelle, fin dalla prima infanzia. Tutti e due a fare i lavori domestici, subito… Parità, aggiungo io sospingendo l’argomentazione oltre i confini del buon senso dove è stata spinta da un certo neofemminismo, magari anche nei colori, evitando il rosa per lei e il celeste per lui, evitando le bambole per lei e le macchinette per lui, costringendo i genitori a stilare un indistinto decalogo di giocattoli intelligenti e non sessualmente oppressivi.

Mi dico: dovrei sentirmi in colpa perché ho regalato una cucina giocattolo a mia figlia, con le pentoline, quand’era piccola, perché se qualche stronzo me la ammazza di botte, poi, sono io che non l'ho educata a reagire a dovere... E mi dovrei sentire in colpa a non avere risposto male a mio padre che, durante il pranzo domenicale, mi esortava: “Ma non lo servi a tuo marito?”. E io invece li compiacevo, i due maschi: il padre e il marito.

Mi chiedo, adesso, perché si facciano tanti sforzi inutili per imbrigliare la violenza, il male, l'incuria per l'altro, dentro schemi ideologici vuoti e inutili, per rassicurare una società che si sta squagliando in assenza del collante dei sentimenti. Se bastasse la parità di genere a rimettere a posto quest'aggressività vendicativa verso le donne sarebbe tutto molto più facile.
Un po' più difficile ammettere che quello che sta accadendo è l'altra faccia, cupa, grigia e spaventosa dell'emancipazione. E' complicato ragionare sulla tendenza inestirpabile degli uomini ad essere controllori dello spazio privato e pubblico delle loro donne. E così, quando li cacci da quel territorio questi maschi che rifiuti come tutori, semplicemente, ti annullano.

La scrittrice Camille Paglia lo ha detto con una certa dose di anticonformismo: finché c'erano padri e fratelli a proteggere le donne, queste cose non succedevano. La rete parentale era lo scudo che preservava la femmina intatta fino alla consegna al nuovo tutore-compagno. O si torna indietro, al tutoraggio verso la “femmina”, o si ammette che l'autodeterminazione, per le donne, comporta anche dei rischi, dei rischi gravi. 

L'educazione può avere un suo peso certo, come ce l'ha il linguaggio, quello dei media e quello della pubblicità. Ma anche qui non si può far finta di ignorare che le mentalità cambiano molto lentamente, troppo lentamente per poter funzionare da antidoto alla crescita allarmante del numero dei femminicidi.

La strada della consapevolezza va praticata innanzitutto incoraggiando nelle donne all’autonomia. Sono loro che devono organizzare in piena libertà le regole del loro spazio, decidere chi entra e chi esce, decidere cosa procura piacere e cosa no, decidere il limite e farlo magari anche divertendosi a servire il partner a tavola. 

Poiché è assodato che indietro non si torna e non si può tornare almeno sgomberiamo il campo dagli equivoci: non sarà affatto facile estirpare la violenza contro le donne, sarà una battaglia lunga, una strada impervia, piena di ostacoli pesanti e insidiosi. Anche perché sulle relazioni tra i sessi pesano pagine e pagine di letteratura amorosa, di bella e buona letteratura che celebra il possesso “integrale” della femmina amata.

Nel romanzo di Dostoevskij “Il giocatore” il protagonista pensa alla sue lei con tale ardore che sogna di divorarla… Questa donna celebrata, vezzeggiata, cantata, adorata, è sempre un’immagine da possedere e da distruggere a proprio piacimento. Al limite, la letteratura misogina è persino più generosa: per Otto Weininger le donne erano tutte “ruffiane”. Si occupavano cioè, di stabilire relazioni tra i sessi, altro non erano in grado di fare. Un riconoscimento stizzoso ma con un qualche fondo di verità. Oggi abbiamo le sfumature di grigio… la letteratura porno-soft da spiaggia. Il corpo delle donne è talmente emancipato da diventare bene derivato nell’ingranaggio della struttura organizzata dal capitale, persino con la prostituzione delle ninfette tredicenni. Ma è sempre un corpo fragile, un corpo non protetto. Basta un “no” e finisce a terra. Basta un “no” e l’atto violento di un maschio annulla tutta l’energia creatrice che quel corpo racchiude. Una pena. Uno sciupìo. Una brutta faccenda, una faccenda enorme, della quale non verremo a capo bacchettando l’educazione familista, perché la dignità prima ancora di stare sulle carte dei diritti, è semplicemente un’esperienza, una conquista, una crescita.


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