sabato 16 novembre 2013

Ma che fine fa la "persona" nella visione dell'ideologia gender?



Pubblichiamo un intervento sul tema della diffusione della cultura delle identità di genere e dell'introduzione del concetto di "gender". Al di là della condivisibilità o meno delle tesi sostenute lo riteniamo un modo argomentato e culturalmente fondato per avviare un dibattito....

Marina Maugeri

Norme sul femminicidio, legge contro l’omofobia, ampliamento dei diritti sessuali e riproduttivi, burocrazie su gentore 1 e genitore 2: la trama regolatrice di «nuovi diritti» si dipana a colpi di leggi, forgiando un’ipotesi della realtà che poggia su assunti teorici, apparentemente razionali, ma non del tutto razionalizzabili. All’apice di questo processo si dispiega un’ideologia sotterranea ma sempre più diffusa identificabile nel termine gender, vocabolo che compare in occasione nella quarta Conferenza mondiale sulla donna tenuta nel 1995 a Pechino, quando sostituì la parola di antico conio sesso, dal latino sexum che significa diviso, separato, differente con il termine che va nella direzione opposta di significato, perché in italiano "genere” identifica una categoria concettuale che raggruppa individui con proprietà simili, mentre l’originario significato inglese richiama l’identità sessuale intesa però come mero prodotto di una costruzione sociale e come autodeterminazione individuale.
All’epoca della Conferenza di Pechino la traslazione lessicale passò quasi inosservata e sembrò supportasse l’istanza di una riformulazione del concetto di uguaglianza alla luce dello specifico femminile nelle diverse culture, assumendo la valenza di parola d’ordine destinata a un cambiamento culturale, ma interno al processo di ridefinizione dei ruoli tra uomo e donna nella società, sinonimo quindi di pari dignità e pari opportunità tra i sessi.
La nuova parola, gender, poneva invece una falsa equivalenza fra i concetti di differenza e disuguaglianza, creando la premessa per cancellare con un colpo di spugna, una pratica, oppure un semplice modulo, la specificità del maschile e del femminile, la differenza, la specificità.
La considerazione che prevalse nella Conferenza voluta dall’ONU è che le donne dovessero vedere riconosciuti i loro “diritti umani”, i quali si possono ottenere solo con il riconoscimento dei diritti sessuali, ivi inclusi i“diritti riproduttivi” che richiamano il diritto all’aborto e il controllo della fertilità con i contraccettivi, schiacciando la donna sull’identità biologica a scapito dell’istruzione, del lavoro, dei diritti politici, considerati invece irrilevanti nell’agenda di genere.  Nella realtà, malgrado l’apparente disinvoltura a ripensare il mondo in termini “pan-sessualisti” con una scala di valori che preconfeziona diritti pronti all’uso, il gender ha inflitto un duro colpo soprattutto all’amore, sminuito a sentimento, e al desiderio, depotenziato nelle sue implicazioni creative, che ne escono vistosamente scansati.
La sessualità non è mai neppure pensata come comunione con l’altro ed è invece percepita come una disciplina letale che suscita panico e dalla quale occorre “preservarsi”, mettendola moralisticamente sotto controllo chimico, costruendo a tale scopo l’artificioso immaginario di una Venere che si unisce ai “molti”, ma più che una dea inarrivabile è una mortale che basta a se stessa, mentre tutto intorno a lei muore e chi combatte per lei muore per un simulacro di donna, portatrice di una sessualità rassicurante perché scissa dal desiderio, dunque prevedibile. Donare la vita è poi considerata una vera e propria minaccia di morte di proporzioni incommensurabili, un’eventualità che richiede uno sforzo sovrumano cui sarebbe preferibile anteporre qualsiasi altra pratica si possa configurare all’interno di modalità tecniche o consumistiche descrivibili, nelle quali includere anche l’omosessualità ma in una visione borghese che implica la regolamentazione burocratica dei rapporti. La Chiesa cattolica, considerata da sempre l’interlocutore scomodo in questo genere di simposi internazionali e accusata strumentalmente di bigottismo, si mostra perciò al contrario l’unica a non aver paura di liberare il sesso e a volere accendere l’uomo di desiderio per trascinarlo in uno sconvolgimento che possa lanciarlo oltre se stesso, impegnando in questa sfida la sua vita fino in fondo.
La Conferenza di Pechino non fa dunque che riproporre schema in cui è riconoscibile una matrice simbolica e ideologica che reitera il dramma dell’uccisione non fisica, ma ideologica e antropologica dell’idea stessa di donna, spogliata dell’antico lignaggio della domina, intesa come Signora del creato e declassata a mera femmina, prodotto casuale di un cieco processo biologico, per rimuovere ciò che dal medioevo eleva ogni “ma-donna”, al rango della Madre di Dio, in corrispondenza dell’archetipo della Vergine capace di donare la vita e che accettare di avventurarsi nell’iniziazione profonda della realtà. L’eclissi di significato ha perciò un riflesso immediato anche sul piano maschile perché la natura femminile esiste nell’uomo come creatura interiore che possiede questo mondo invisibile.
Il progetto di genere prende dunque le mosse da un’asportazione che richiede anche un’esportazione perché per fermentare necessita come l’impasto del pane di un pezzetto di lievito della madre, archetipo della matrice, e di un’identità femminile labile come un riflesso di luce della luna, illusoria sia quando la luna è bianca e piena, che quando la luna scompare dal cielo ed è perciò muta e nera. Una luce che non spezza la paura, non possiede l’ampio raggio dell’aurora del giorno che rende visibile la forma.
Le lobby femministe legate all’ideologia gender s’impegnano concretamente nel ruolo di tessitrici, compiendo questa mansione stanziale e ordinaria, prevedibile e circolare che punta a riscrivere il linguaggio. Tessere è una pratica misteriosa e nascosta, basata sulla reiterazione. Le tessitrici erano costrette a una vita durissima, in apparenza senza storia, ma quando tagliavano i fili della tela, l’ordito includeva tutte le immagini archetipiche del collettivo. Simili a Parche, temibili figure mitologiche decadute, le moderne ideologhe del gender si sporgono sulla soglia della vita e della morte per presiedere al compito smisurato di filare il “destino” degli uomini per renderlo misurabile e infine tagliarlo, mentre con zelo da massaie mettono in ordine il mondo, smacchiando le “impurità” lessicali per rispondere a quella legge dell’utilità che riguarda la fisica e presiede alla formazione della materia, ma la cui evoluzione pratica si riferisce al mondo della funzionalità dell’oggetto, all’economia e alla tecnica della costruzione.
Gli attori principali che soffiano il vento gender sull’Europa sono riconoscibili perciò in quegli ambienti del post-femminismo postmodernista, affiancati dalle organizzazioni abortiste e dai gruppi impegnati nella diffusione della contraccezione che annoverano fondazioni di tipo “filantropico”, il cui reale obiettivo è solo quello di riscrivere le leggi sui “diritti umani”, utilizzando un linguaggio che renda funzionale la promozione dell’agenda di genere.
«Gender Mainstreaming» è letteralmente il “genere all'interno della società che si muove”, ovvero il genere che si pone al centro delle politiche e delle azioni e non al di fuori di queste. Sotto questa egida si articola molto più di una semplice teoria, ma un movimento che ha l’obiettivo di scardinare la “persona umana” per poterla ridisegnare, con una strategia che poggia sulle tesi del pensiero strutturalista e costruttivista, che fa da sfondo all’ipotesi che l’uomo sia un oggetto effimero, generato nel quadro di una precisa episteme e proiettato in una cultura in evoluzione che lo determina, dove il sapere però si limita a costruire la forma organizzata, mentre l’uomo è solo il risultato di modelli sociali che lo plasmano e di strutture che egli eredita come un’accozzaglia derivante da avvenimenti senza senso. L’uomo in quanto persona non sarebbe perciò che un mero risultato di modelli e di ruoli sociali in cui è stato costretto, la sua storia solo il risultato di un’assurdità che giustifica pienamente il conio di una semantica che permette di descrivere qualcosa che in realtà non esiste, cancellando dal vocabolario ogni riferimento alla differenza maschile e femminile.
Se la modernità aveva posto l’uomo sotto un cielo vuoto e lo aveva spiegato in modo autoreferenziale - l’uomo con l’uomo, la sua chimica, la sua psicologia - la teoria di genere costruisce un’ipotesi e in nome di qualcosa che dipende dalla volubilità di una teoria astratta contesta la realtà, proclamando che le caratteristiche di virilità dell’uomo e quelle di accoglienza della donna non sono affatto patrimonio della “natura” della persona, ma “ruoli artificiali”, quindi né definitivi, né determinati ed estromette tutto ciò che la sua ragione non riconosce come analizzabile, violando l’ordine naturale. Ne consegue che la sessualità possa essere facilmente dislocata in modo deterministico, affinché il corpo che è il grande indiziato e il “portatore della colpa” non obbedisca più alla vita e non parli più della persona, le tracce del suo sesso possano essere cancellate e la complementarietà dei sessi non esprima in sé il potenziale della storia, scritto nel codice segreto dell’uomo, che è la vocazione alla donazione reciproca, la vocazione all’amore, ma solo il risultato di una serie accidentale di fenomeni meccanici, calati in una natura ostile che nega all’uomo anche la possibilità di essere libero da qualunque legame deterministico con la storia. Sebbene perciò l’esperienza del limite costituisca la condizione umana perché qualcosa possa esistere e la forma concorra a definire lo spazio nel quale l’uomo é in relazione con l’altro, l’ideologia di genere “ricrea” l’uomo dalla disgregazione di uno spazio e lo dissolve nel molteplice, svincolandolo dal tempo storico, disimpegnandolo dalla politica e dai condizionamenti che la natura, la cultura, gli antichi retaggi religiosi gli avrebbero imposto per farlo rientrare nei cicli naturali, ponendo la priorità del genere sul sesso e della volontà sul limite della natura, che significa ritenere che ogni orientamento sessuale possa valere quanto un altro, equiparando di fatto l’etero-sessualità alla omo-sessualità, con la conseguenza di porre la condizione per la "neutralità" sessuale, condizione che proietta l’uomo in una soglia d’indifferenziazione nel momento stesso in cui la diversità non corrisponde più ad una legge imprescindibile alla cui inviolabilità non si può derogare pena la distruzione di quell’umanità che è fondamento della vita e del diritto naturale. Nel gender l’identità è piuttosto quella di non averne proprio nessuna, di realizzare una sorta di jolly, la cui sensazione d’onnipotenza è oltremodo ingannevole perché la tensione vitale muove dall’espansione del desiderio ma è destinata ad espandersi come vuoto e l’apparenza non è che la maschera che copre un volto proprio per riuscire ad assumere qualsiasi identità, per vivere difendendosi. Al pari di un qualsiasi prodotto costruito in serie, l’uomo è trasformato in un essere virtuale, cui pesa l’incompiutezza della forma, che percepisce il caos che lo sconnette, mentre nella realtà prima ancora di vivere un come dovrebbe semplicemente accettare di vivere, essere felice di essere.



L’ideologia di genere s’infiltra in modo subdolo nella mentalità e nel costume, nelle normative internazionali e nazionali, ponendosi al centro delle agende politiche, approfittando dell’ambiguità insita nel termine per diffondersi nel diritto. Compiuti i primi passi, si spinge in avanti, dettando i tempi della vita politica, culturale, economica e giuridica e una volta imboccata la negazione percorre la strada dell’indifferenziato, rimodellando l’umanità a partire dalla costruzione di insiemi che riflettono i suoi presupposti teorici e determinano leggi antidiscriminazione dell’orientamento sessuale e dell’identità, come quelle sull’omofobia e sul femminicidio, che raggruppano generi d’individui simili fra loro, capaci di assumere forme contrapposte, eccitate nella loro contrapposizione e che concorrono alla costruzione di un mondo posto sotto l’egida della “non discriminazione”, voluttuosamente imposta a colpi di proibizioni.
Il punto di arrivo immaginato dall’ideologia  gender è un individuo solo con il proprio vuoto, vuoto pieno però di un delirio per qualcosa percepito come estraneo, da cui si libera solo a sua volta perseguitando, al punto che quando i soggetti coinvolti subiscono il delirio non si capisce più se sono perseguitati o se perseguitano e sono alla perenne ricerca di un “capro espiatorio”, qualcuno verso cui fare convergere e trasferire efficacemente tutte le tensioni e l'aggressività sociale che contrappone “persecutori e perseguitati”.
La traccia della persona deve essere perciò cancellata in quanto “creatura” considerata superflua, proprio perché in lei risiede tutto ciò che rende distinguibile l’uomo dalla cosa ed esprime la radice che ha in sé il limite della finitezza e al tempo stesso la vocazione alla bellezza, qualcosa che ostacola il volo, ma anche lo straordinario che lancia l’uomo nel suo impossibile. Uccidere l’essenza profonda dell’uomo – la sua sostanza divina - e uccidere l’uomo significa, perciò, la stessa identica cosa, vuol dire ridurlo a un oggetto insignificante, un prodotto biologico casuale, trasformando la sua vita in una caduta colpevole e la storia in una maledizione senza senso, una vita e una storia da “pidocchi”.
Nel cristianesimo la nozione di persona è presente perché il Dio cristiano è relazione e l’uomo creato a sua immagine e somiglianza è relazione, la persona umana è dunque un volto rivolto verso qualcuno che è diverso e il crollo della relazione è la falsificazione del volto di Dio, da cui discende la violenza che contagia la collettività e la rende anche contagiosa, precipitandola nella reciprocità del “tutti contro tutti”, dove l’altro è fisicamente l’ostacolo da superare in quanto latore del limite, che fornisce al tempo stesso l’unico parametro per essere qualcosa e dunque anche per associarsi, ma solo con quelli con i quali si ha un antagonista in comune, un nemico da abbattere, al quale in fondo somigliare.
La teoria di genere è impersonale, non considera l’alterità feconda, né una ricchezza da coltivare; non è perciò in alcun modo collegabile ad un’antropologia cristiana, ma si appropria invece delle virtù cristiane, falsificandole e privandole della speranza cristiana - che imporrebbe un cambiamento radicale di prospettiva - per renderle del tutto immanenti e trasformarle in teorie moraliste e buoniste basate sul concetto moderno di volontà per dislocare la rivelazione dal Logos incarnato, l’uomo dal suo destino di vita eterna, dalla possibilità stessa che il Dio trascendente, insieme uno e trino, restando trascendente, possa condurre la storia insieme all’uomo, misconoscimento che si riflette in tutta la dimensione politica che a partire dal deismo moderno priva la storia del suo potenziale.
La risposta culturale alle tesi dello strutturalismo ha dato impulso negli ultimi decenni ad una ricerca che trova nell’antropologo francese René Girard un significativo, articolato e strenuo oppositore ai suoi esiti scontati, intesi soprattutto come espressione di un umanesimo privo di comprensione per l'uomo nella sua relazione con la storia e con l’origine, il cui fondamento, secondo Girard, risiede nel divino che egli restituisce alla sfera del sacro e da cui fa discendere la genesi del processo culturale, politico e sociale umano. Girard si oppone alle tesi dello strutturalismo di Lévi-Strauss, dal quale ritiene si sarebbe affermato un modo di pensare che facendo a meno dell’identità, fa a meno del reale e della comprensione della reciprocità dei rapporti umani.



L'uomo esiste, nell’analisi di Girard, non solo come animale simbolico e non solo come costruttore di simboli, ma calato nel sacro e la verità sul misconoscimento della violenza umana è quella pienamente rivelata agli uomini dall’evento della Croce, che illumina la fondazione violenta e rivela il vero volto e l’innocenza di Dio, inceppando il meccanismo che è alla base del misconoscimento stesso e rendendo perfettamente leggibile come il sacro e la violenza siano una stessa cosa.
Il misconoscimento del sacro ritorna, invece, perciò nella nostra epoca ad essere un fluido che tutto permea, nonostante l’oblio dei moderni, proprio perché un modello che nega ad ogni costo l’alterità in nome dell’indifferenziazione di tutti i significati ripropone per paradosso continuamente la Croce, il problema dell’Altro, la “pietra d’inciampo” di cui parla il Vangelo. La presunta “liberazione” promossa dal gender s’ispira, invece, al decadimento moderno nell’evoluzionismo, nel progressismo materialista, in certa religione cosmica deliberatamente ispirata ai sistemi panteistici arcaici e non può che promuovere nei suoi esiti più contorti una cultura che fa leva sull’istinto di morte e sulla disperazione dell’uomo, un tipo di umanesimo che detesta l’uomo e vorrebbe avere a che fare con tutto tranne che con qualcosa di umano.
Dopo il diritto all’aborto, l’agenda di genere punta all’ampliamento dei “diritti umani” naturali promuovendo addirittura la regolamentazione del suicidio, lo svuotamento di significato del matrimonio fra uomo e donna, l’aggressione strategica alla famiglia in quanto soggetto forte, resistente e solidale, il diritto all’adozione nelle coppie LGBT, la separazione del genere come ruolo socialmente costruito dal sesso biologico, l’inclusione dei diritti sessuali e riproduttivi; il diritto alla prostituzione, l’eliminazione del disturbo dell’identità di genere dall’elenco dei disturbi psicologici, l’introduzione di leggi antidiscriminazione dell’orientamento sessuale e dell’identità e manifestazione di genere, ecc. L’obiettivo di questo impressionante programma é realizzare concretamente una “cultura dello scarto”, favorendo lo slegamento sociale a vantaggio dell’astrattezza di un’etica civica.
“Quando la vita diventa la posta in gioco della politica e questa si trasforma in bio-politica, tutte le categorie fondamentali della riflessione dai diritti dell’uomo alla democrazia, alla cittadinanza entrano in un processo di svuotamento”, scrive il filosofo Giorgio Agamben, nel saggio “Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita”, in cui richiama già nel titolo una figura presente nel diritto arcaico romano che fornisce la chiave per una rilettura critica delle categorie politiche e s’inscrive nelle tematiche sviluppate da Foucault, intorno al biopotere.
Questa figura è l’”homo sacer”, l’uomo che nel diritto romano arcaico era un fuorilegge, un messo al bando che chiunque poteva uccidere senza commettere reato di omicidio e che non doveva però essere messo a morte nelle forme prescritte dal rito. La consacratio dell’homo sacer necessitava, infatti, di una colpevolezza particolare, perché l’espulsione dalla comunità determinava che il reo fosse immediatamente fuori tanto dal diritto umano e di conseguenza anche dalla protezione divina.
Nel mondo antico, sacro e funesto avevano infatti lo stesso significato, perché s’ignora il punto di vista etico moderno, derivante dalla visione cristiana che vi affianca il termine sanctus, rimandando al significato esclusivamente benefico e salvifico dell’esperienza della santità.



L’uomo impuro era perciò colui che, abbandonato dalle regole, era allontanato dalla collettività e designato come uomo sacro nel significato attribuito al termine sacer esto, propriamente ciò che era destinato ad essere il “portatore della colpa”. La sacertà della vita si esprimeva perciò in un corpo e consisteva nella vita stessa allo stato effettivo, la vita debole, la nuda vita allo stato naturale.
Nell’analisi di Agamben, la violenza sovrana ed il diritto non sono perciò concetti astratti e se esercitati ed attuati attraverso il loro rapporto necessitano di un portatore, perché solo mediante questo trasferimento su un portatore, la violenza ed il diritto hanno ragione d’essere e possono realizzare le loro funzioni. Il canale con il quale questo rapporto si concretizza è la vita effettiva, la vita allo stato essenziale, che è la vita debole che si realizza in un corpo biologico e si riveste di una presunzione di colpevolezza. In questa accezione il corpo biologico diviene perciò un oggetto, una cosa, nella misura in cui è il corpo di un portatore di vita effettiva, vita debole e indifesa.
“La sacertà della vita, che si vorrebbe oggi far valere contro il potere sovrano come un diritto umano in ogni senso fondamentale, esprime invece in origine la soggezione della vita a un potere di morte” scrive Agamben, intravvedendo nell’orrore del campo di concentramento nazista il paradigma bio-politico nascosto nella modernità che si ripresenta sotto mutate spoglie.



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