sabato 9 novembre 2013

Una leggenda scritta da Stefan Zweig su un principe indiano in cerca della perfezione




Annalisa Terranova

Una leggenda, una fiaba, una parabola: è tutte queste cose insieme il racconto di Stefan Zweig (pubblicato per la prima volta nel 1922) sulle gesta dell'aristocratico indiano Virata del paese dei Birwagha, detto Lampo della Spada perché era un ardito guerriero. La casa editrice Adelphi propone ora questa lunga novella ai lettori con una veste grafica elegante e con il titolo Gli occhi dell'eterno fratello. Quella di Virata è una storia sul principio di giustizia, ma anche sulle scelte che gli uomini devono o non devono fare per conformarsi alla saggezza, e in definitiva è una storia di "redenzione". Non a caso fu molto amata e apprezzata da Hermann Hesse. Una narrazione che prende le mosse da una colpa, da una caduta (Virata uccide in battaglia suo fratello, senza però esserne consapevole) cui bisogna porre riparo con una espiazione, con una "rinascita" spirituale dopo la discesa negli inferi dell'angoscia e del dolore. "D'ora in ora fu come un precipitare sempre più nelle tenebre, sino a farsi pietra e nera radice sotterranea, e tuttavia anche portatore d'un nuovo seme di vita, magari d'un verme che scava sordo la zolla, o della pianta che tende a fatica verso l'alto con un nuovo stelo, o di una roccia soltanto che fredda riposa nella beata inconsapevolezza dell'essere". 

Così Virata fugge l'azione e si esercita nella saggezza: vengono da lui a chiedere pareri e consigli e la sua vita scorre tra meditazioni e orazioni devote. La stima e il prestigio di cui gode, tuttavia, non lo rendono ancora appagato, non sono in grado di condurlo al termine del cammino di perfezione. Virata si rimette dunque in viaggio e finisce la sua vita come anonimo guardiano di cani, esperienza che finalmente gli svela la verità tanto agognata: "Davanti alla divinità nessuno val meno e nessuno vale di più. Chi si limita a servire e si spoglia della propria volontà senza fare domande, costui si è sbarazzato della colpa e l'ha restituita alla divinità . Chi invece vuole e crede di poter evitare il male con la saggezza, costui cade in tentazione diventa colpevole". Per questo il testo di Zweig è preceduto da alcuni versi della Baghavadgita: "Non se eviti qualsiasi azione sarai davvero libero dall'agire". 

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