sabato 19 aprile 2014

Così si conclude la trilogia della depressione di Lars von Trier



Federico Magi

Dall’ossessione orrorifica, onirica e metafisica in Antichrist, passando per il vuoto emotivo e la conseguente distruzione del pianeta in Melancholia, si arriva alla dimensione filosofica ed esistenziale dell'ossessione del sesso di Nymphomaniac. Si chiude dunque “la trilogia della depressione” ideata da Lars von Trier, tanto più buia e oscura quanto i motivi profondi di questo suo ultimo cinema, ma sempre degna d’ogni ribalta scandalistica prestandosi comunque a dibattito e discussione, risultato finale d’un cinema sempre in cerca di un feedback sensazionalistico che ci riporta ogni volta alla medesima conclusione: ma quanto è paraculo il buon vecchio Lars? Nymphomaniac non solo non attenua ma in qualche modo rafforza la sensazione che il regista danese sia il solito furbacchione che riesce, ogni qual volta porta in sala una sua nuova pellicola, a far parlare e tanto di sé. Diviso in due parti (la seconda sarà nelle sale a breve) ma colpito fortemente da una censura concordata e autorizzata, suo malgrado, dallo stesso von Trier, Nymphomaniac arriva in Italia in versione evidentemente ridotta rispetto all’originale berlinese, ma restituisce lo stesso una compiuta idea di sé allorché il regista danese ci propone un’opera efficacemente strutturata e divisa in capitoli, come aveva fatto in precedenti opere, partendo da un’idea un po’ ingannevole e forse fuorviante, rispetto alla complessa analisi che deriva dalla visione, ovvero che il porno, genere commercialmente fortunato ma artisticamente scadente, nelle mani di un vero autore come lui può assurgere se non proprio ad opera d’arte quantomeno a materia d’interesse cinematografico e culturale più elevata del consueto. E se ciò potrebbe essere vero nell’apparenza della forma, in quanto il sesso è centrale ed esibito a piene mani nella pellicola, nella sostanza Nymphomoniac è un’opera dalle ambizioni filosofiche e dal retrogusto – in continuità con la stragrande maggioranza dei suoi lungometraggi – morale e nemmeno troppo nascostamente moraleggiante.



Come in Antichrist e Melancholia, von Trier ci introduce alla vicenda narrata attraverso un incipit ricercato e finemente costruito, in cui la macchina da presa insegue, setacciando al dettaglio, i vicoli solitari di un quartiere periferico in una giornata fredda e nevosa e si sofferma, mentre infuriano improvvise le note hard dei Rammstein, su Joe, una donna insanguinata e distesa a terra, successivamente soccorsa da Seligman, un anziano signore uscito a far la spesa. Seligman la porta in casa sua e le offre un thè caldo, e qui Joe inizia a raccontare della sua vita, dicendo di essere una ninfomane. E qui comincia un lungo flashback, intervallato da improvvisi ritorni al presente intramezzati da riflessioni esistenziali su eros e thanatos, sul senso di colpa e sulla morale, sull’inevitabilità delle scelte e sulla sessualità maschile e femminile, conditi da divagazioni psicanalitiche, riflessioni sulle sequenze numeriche legate al sesso e alla musica, e da continui rimandi metaforici all’arte della pesca con la mosca. Come al solito Lars von Trier mette tantissima carne al fuoco e in conseguenza di ciò non sempre tutto scorre chiaro e lineare, denotando ancora una volta come la scelta di piegare le canoniche vie narrative al suo incandescente magma autoriale sia più importante di servire una pietanza cinematografica ad uso e consumo di tutti. In ciò Nynphomaniac resta nel solco del suo cinema precedente, ma se in questo caso il regista è ben attento a restare, rispetto ad Antichrist e Melancholia, su un piano eminentemente fisico e fenomenologico, l’opera ha possibili cali d’interesse nella reiterazione di eventi fin troppo simili e ravvicinanti sfiorando più volte il tedio e l’eccessiva connotazione morale, fotografando l’apparente vuoto di un’anima che, almeno in questo primo volume – d’obbligo non dare un giudizio definitivo, vista la struttura proposta – trasmette un infinito senso di solitudine e una moltitudine di sensi di colpa che non sembrano cercare espiazione attraverso il sesso ma che il sesso seriale e anaffettivo comunque ingigantisce.
E qui c’è lo sguardo moralistico di von Trier che osserva palesemente la sua bellissima e  svuotata protagonista, ossessionata dal sesso e in un certo senso terrorizzata dall’amore, espresso efficacemente solo a un padre tanto amato quanto poco influente nella vita e nelle scelte della ragazza. Questo primo volume in effetti ci parla della Joe prima adolescente e poi ventenne, e solo nella seconda parte vedremo in azione la Joe adulta le cui scelte, parrebbe dall’andamento del film, dovrebbero confermare se non rafforzare l’andamento della prima metà del film. Difficile dunque ricondurre efficacemente a un giudizio univoco la complessità di un’opera come questa avendone visto solo una parte, pur significativa.  Ciò che è evidente è che quello del regista danese resta un cinema fortemente autoriale, certamente di qualità non comune, sia dal punto vista visivo con i suoi rimandi ai grandi cineasti europei (Bergman in particolare, ma non soltanto), che nella scelta della musica (suggestive le alternanze dall’hard alla classica) e degli attori, tra i quali spicca Stacy Martin (la Joe ragazza), la bellissima giovane co-protagonista e Uma Thurman che in una fugace ma folgorante apparizione vale da sola il prezzo del biglietto. Sospendendo il giudizio completo in attesa del secondo volume, è comunque possibile affermare che Nymphomoniac sia un film non privo d’interesse nonostante alcune incongruenze e la possibile noia che può sopraggiungere in alcuni frangenti. Certo, se si va oltre la sua pur palese rappresentazione materiale è un film che sembra ricercare chiavi di lettura di un fenomeno meno banali del consueto. Per andare, è prevedibile, ancora oltre, a indagare l’anima umana in uno dei suoi tanti anfratti oscuri. Che sia tutta un’ossessione autoreferenziale? Che sia solo un altro modo furbo per far parlar di sé? A conti fatti è poco importante: Lars è così, prendere o lasciare. Può disturbare o irritare, ma alla fine, se si è amanti della settima arte, si è sempre curiosi di andare al cinema per vedere un suo film.
Regia: Lars von Trier. Soggetto e sceneggiatura: Lars von Trier. Fotografia: Manuel Alberto Claro. Montaggio: Molly Marlene Stensgard. Interpreti principali: Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgard, Stacy Martin, Shia LaBeouf, Uma Thurman, Willem Dafoe, Christian Slater, Jamie Bell, Mia Goth, Sophie Kennedy Clark, Connie Nielsen, Michael Pas, Jean-Marc Barr, Udo Kier. Scenografia: Simone Grau Roney. Costumi: Manon Rasmussen. Produzione: Zentropa Entertainments, Zentropa International, Slot Machine, Zentropa International France, Caviar, Zenbelgie, Arte France Cinéma. Musica: Rammstein, D. Shostakovich, C. Saint-Saëns, Steppenwolf, G.B. da Palestrina, C. Franck, J.S. Bach, Talking heads, C. Gainsbourg, R. Wagner, L. van Beethoven, F. Haendel, W.A. Mozart.
Origine: Danimarca/Germania/Francia/Belgio, 2013. Durata: 118 minuti.


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