mercoledì 9 luglio 2014

Charles Péguy, il libertario cristiano precursore di papa Francesco



Articolo pubblicato sul quotidiano "Il Garantista" di mercoledì 9 luglio

Luciano Lanna

Colpisce il fatto che l’annuncio del regista Roman Polanski di realizzare un  film sull’affaire Dreyfus coincida con il centenario della morte di Charles Péguy, lo scrittore che più di altri aveva animato la prima storica battaglia garantista nell’opinione pubblica europea, la mobilitazione che segnò storicamente la nascita della figura dell’intellettuale. D’altronde, non solo l’affaire – scoppiato nel 1894, in seguito al presunto tradimento di  Alfred Dreyfus, un ufficiale di artiglieria ebreo alsaziano accusato di spionaggio a favore della Germania – aveva segnato il primo evento mediatico globale ma la mobilitazione degli scrittori e pensatori che ne seguì costituì la prova di forza di un’idea di cultura non più rinchiusa dentro le torri d’avorio dell’accademia.
Tanto è così che il ventiduenne Charles Péguy, classe 1873, precoce discepolo di Bergson e Rolland, socialista non dottrinario intrinsecamente abbeveratosi oltre che al cristianesimo di sua madre ai valori laici e rivoluzionari della Francia repubblicana, si schiera subito e senza esitazione, sulla scorta di un pamphlet garantista scritto dal suo grande amico Bernarde Lazar, L’affare Dreyfus. Un errore giudiziario. È la fase in cui, immediatamente e quasi spontaneamente, molti intellettuali, per esempio Octave Mirbeau, aderiscono alla campagna innocentista. L’episodio più famoso è quello dello scrittore Émile Zola che pubblicherà il 13 gennaio 1898 su l’Aurore la famosa lettera intitolata J’accuse! È forse difficile rappresentare oggi che cosa abbia significato l’affaire per la Francia all’alba del Novecento. Di errori giudiziari è infatti piena la storia, ma per un complesso di fattori storici e culturali, attorno a Dreyfus e a Estérhazy – che si scoprirà l’autore della lettera che sembrava incriminare il primo –  si polarizzarono allora le “due anime” contrapposte della Francia, la rivoluzionaria e la nazionalista, la libertaria e l’autoritaria, quella dei diritti dell’uomo e quella della “ragion di Stato”. Forse anche perché, come scrisse Péguy, erano le energie compresse da un lungo periodo di calma alle frontiere che esplodevano in quella tumultuosa guerra in tempo di pace. E Péguy si schierò con l’anima libertaria, garantista, socialista…
Anche per questo, quando il 5 gennaio 1900 Charles Péguy mandava in stampa il primo numero dei Cahiers de la Quinzaine (i “Quaderni quindicinali”) esordiva un’avventura davvero unica nella storia della cultura francese ed europea. Il giovane fondava la rivista in una camera da studente e solo l’anno seguente, nell’ottobre 1901, si installerà in via della Sorbona, in una bottega il cui arredamento consentirà al solo Georges Sorel di trovare una sedia mentre Péguy e il suo amministratore Bourgeois stavano al tavolo di lavoro. La storia della rivista durerà quattordici anni, con una sorte alterna, in mezzo a innumerevoli difficoltà, portando al suo fondatore la notorietà dei contemporanei che non andrà mai oltre il Quartiere Latino e l’ambiente dreyfusardo. Ma nonostante ciò, il giovane Péguy sarà redattore, autore ed editore di quella che da semplice pubblicazione d’ispirazione socialista e dreyfusarda diventerà nel corso degli anni una delle più importanti e anticipatrici riviste letterarie e filosofiche, tenuta in vita grazie a pochi affezionati lettori: Charles lasciò libera la sottoscrizione dell’abbonamento, e sui 1200 abbonati totali ben 800 lo erano senza versare alcunché.
Oltre allo stesso Péguy, che convoglierà tutta quanta la sua produzione letteraria e poetica nei Cahiers, collaboreranno al foglio Jean Juarés, Romain Rolland, i fratelli Tharaud e tanti altri. Ed è in questo clima che inizia, nel 1905, l’appassionato riavvicinamento di Péguy alla fede cattolica, “conversione” che tre anni più tardi annuncerà definitivamente agli amici Jacques Maritain e Joseph Lotte. Il suo si tramuterà allora nel destino di un intellettuale irregolare e isolato: la moglie, fedele ai valori laici e repubblicani non accetterà mai fino in fondo il suo percorso spirituale; la rivista è boicottata dal socialismo ufficiale e ortodosso; la borghesia è scettica e diffidente a prescindere. Nel 1910 esce l’opera che testimonia pubblicamente il suo cristianesimo, una riscrittura di un suo precedente dramma del 1897, Jeanne d’Arc, che chiamerà Il Mistero della Carità di Giovanna d’Arco, il capolavoro di Péguy, cui seguiranno negli anni successivi altri “misteri”, tra cui Il Portico del Mistero della seconda virtù del 1911 e Il Mistero dei Santi innocenti del 1912. Nel 1910 il suo saggio politico più amato e conosciuto: La nostra giovinezza, appassionata riflessione proprio sugli anni del caso Dreyfus. Del 1913, un altro saggio che resterà: Il denaro, dove, guardando soprattutto alla povertà crescente determinata dal mondo capitalistico, si poteva leggere: “Ai miei tempi tutti cantavano. Nella maggior parte dei luoghi di lavoro si cantava… Non c’era questo strangolamento economico di oggi, questo strangolamento scientifico, freddo, geometrico, regolare, netto, nitido, senza sbavature, implacabile…”.
Come dicevamo all’inizio, cento anni fa, il 5 settembre 1914, ad appena un anno dalla pubblicazione de Il denaro, Charles Péguy muore quarantenne sul fronte della Grande Guerra, per la quale era partito volontario, nel primo giorno della battaglia della Marna. Come un ossimoro vivente – patriota e libertario, cristiano e socialista, religioso e garantista – Péguy lasciava il suo invito a separare la prospettiva cristiana dal “disordine stabilito” del potere del denaro e della politica nazionalista e borghese. Quasi nessuno lo sottolinea, ma il nome di Péguy è caro alla tradizione proudhoniana nel momento stesso in cui è anche tra i pochi a venire presentato tra i “precursori” dell’intuizione di coniugare socialista e nazione nel saggio La dottrina del fascismo scritta da Mussolini e Gentile. E le sorprese non finiscono qui. Come mai Péguy che era stato tra i primi a mobilitarsi in nome del garantismo per l’innocenza di Alfred Dreyfus sarà anche uno degli autori più cari a Papa Luciani, Giovanni Paolo I, e a don Luigi Giussani? Ma come mai Péguy è stato rivendicato, nel tempo, da proudhoniani e fascisti, da cattolici ortodossi e socialisti riformisti magari soffermandosi solo su un tassello della sua personalità?

Per capire a fondo il “mistero Péguy” vale forse quanto scritto a suo tempo da padre Henri de Lubac: “Fu un profeta del Concilio Vaticano II: con un anticipo di 50 anni, tenne a battesimo l’ideale repubblicano, riappropriandosi della grande intuizione evangelica di Proudhon, Michelet e Quinet. E ciò che permane meno conosciuto e approfondito è il carattere libertario del suo cattolicesimo, cioè che egli rifiutò ogni assolutismo clericale della Chiesa, ogni organizzazione ecclesiale modellata sull’Ancien Régime”. E ancora: “Péguy, pur soffrendo sinceramente per non potersi accostare ai sacramenti, non era del tutto scontento di rimanere sulla soglia di una Chiesa che, sotto le spoglie di una società ecclesiastica, manifestava un autoritarismo che gli era visceralmente antipatico”. Non a caso, aggiungiamo noi, in una delle sue ultime frasi, a proposito della sua fede arrivò a definirsi “un figlio semi-ribelle completamente docile, dalla fedeltà sconfinata e dalla solidità senza eguali”. Quasi a dire un precursore della Chiesa di Papa Francesco, antitetico a qualsiasi visione di un cristianesimo in difensiva e in polemica col mondo. Annotava infatti Péguy: “Vi era il cattivo tempo anche sotto i romani. Ma Gesù non si tirò affatto indietro. Facendo il cristianesimo, egli non incriminò, egli non accusò nessuno. Egli salvò. Egli non incriminò il mondo. Egli salvò il mondo”.

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