mercoledì 4 febbraio 2015

Fascistelli: il film. Ecco com'era il Msi al di là delle retoriche postume



Annalisa Terranova

Ho visto il film Fascistelli, tratto dal romanzo omonimo, dove Stefano Angelucci Marino fa il regista e l'attore. Lui è anche quello che il romanzo l'ha scritto. Fa teatro. E' uno di quelli che in genere a destra non trovi e che se per caso li trovi, dopo un po' se ne scappano. E nella vicenda di Fascistelli - tormenti e iniziazione alla politica di Vittorio Brasile, sedicenne di Civitella, paesino abruzzese fuori dalla storia - Stefano Angelucci Marino di disillusioni personali a mio avviso ne dissemina una buona dose. Il film è divertente, si nota l'impegno di superare il dilettantismo che caratterizzava pellicole più ambiziose (come Sangue sparso), ci ritrovi i tic d'ambiente, vecchi e nuovi, ci rintracci certe ingenuità arroganti che abbondavano tra i militanti tutti d'un pezzo. Colpisce per l'assenza di retorica e per la capacità di "tipizzazione" dei personaggi. Vittorio è l'adolescente di destra in cui in tanti si possono riconoscere. L'altro protagonista, Tonino Fendente, il segretario del Msi locale e consigliere comunale trombone, intriso di luoghi comuni sul fascismo, è il classico dirigente di partito che tutti, più o meno, abbiamo conosciuto, e per il quale manteniamo magari un affetto appena appena venato di rimprovero. 
Ed ecco la storia: Vittorio, sentendosi diverso, sentendosi "contro", trova che iscriversi alla sezione del Msi del suo paese, nel 1993, possa rappresentare il massimo della trasgressione. Lì trova il dirigente di cui sopra, Fendente il fascistone, consigliere comunale che tira a campare, appagato da una sopravvivenza politica che si reputa bastare a se stessa per le gite periodicamente organizzate a Predappio. E trova anche camerati caricaturali, quelli che raccontano di risse e di performance amorose o che leggono Evola a tutte le ore del giorno. E ancora ci trova l'immancabile busto del Duce, a cui rivolge la domanda delle domande: ma tu chi sei? Perché i fascismi, nel Msi, erano tanti, e molti "immaginari". Finché l'ingranaggio di un sistema che sembrava inespugnabile si rompe, senza che i fascistelli abbiano contribuito in nulla a determinare la svolta storica (il loro merito essendo stato appunto quelli di sopravvivere e testimoniare) e la possibilità di inserirsi nel sistema (strategia del resto inseguita dal Msi fin dai tempi di Michelini, al di là delle retoriche postume) conquista i cuori neri. Che cosa significa a Civitella inserimento nel sistema? Spartizione degli appalti. Né più né meno. Poco per farci rinnegare Fendente come traditore. Abbastanza perché il giovane Vittorio volti le spalle a un partito dove capisce che la rivoluzione non si farà mai. E poi c'è il sacrificio, simbolico, del bravo ragazzo. L'uccisione di quell'angolo di coscienza che chi fa politica a certi livelli non può permettersi di ascoltare. O meglio si racconta questa scusa per lavarsela del tutto, la coscienza. E allora riconosciamo in Vittorio quei ragazzini che negli anni Novanta con sorprendente tenacia si offrivano alla politica in modo disinteressato, prima che An ne facesse dei carrieristi insopportabili. Mi ricordo, a tale proposito, una conversazione con Tony Augello. Io sostenevo che erano meglio quelli della mia generazione, che negli anni Settanta le scelte politiche conducevano a una formazione granitica, forse limitata ma di sicuro definibile come scuola di vita. Lui era più indulgente, diceva che i ragazzini che in un decennio post-ideologico bussavano a una sezione di partito erano più eroici di chi faceva gli scontri negli anni di piombo. Perché chi glielo fa fare di trascinarsi tra queste macerie? Ora, a parte i pochi che hanno ricevuto ricompensa per il loro farsi portaborse (ma sempre rivoluzionari, per carità) i molti continuano a farsi quella domanda. E magari anche a sorriderne, un sorriso amaro e liberatorio, osservando ormai distanti le gesta del camerata Vittorio Brasile. 

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