sabato 9 luglio 2016

L'omicidio di Fermo: ma la destra che c'entra con chi tira le noccioline ai neri?



Annalisa Terranova


  1. Si potrebbe tirare diritto, e fare finta di niente. Invece le reazioni di una parte della destra, o di chi si dice di destra (ma le definizioni ormai che importanza hanno?) all’uccisione di Emmanuel Chidi Nnamdi sono esemplari e rispecchiano una condizione di sbandamento cui ormai anche gli stessi leader non riescono a porre riparo (lo dimostrano i post antirazzisti di alcuni esponenti di Fratelli d’Italia accusati dai loro seguaci di essersi piegati al “politicamente corretto”). E’ vero che all’inizio si è parlato di un’aggressione e che invece c’è stata una colluttazione, ma la provocazione che ha suscitato l’episodio, la frase razzista “scimmia africana”, non può essere relegata a un dettaglio irrilevante. Sulla vicenda (dove il morto è il nigeriano, non dimentichiamolo) si è voluto stendere il velo propagandistico di parole d’ordine (amplificate principalmente dalla Lega) già ascoltate nei mesi passati: la legittima difesa vale sempre (di qui la diffusione virale sul web della versione di una testimone, una parrucchiera di Fermo, che in pratica dipinge Mancini come vittima e Chidi Nnamdi come aggressore), e ancora “prima gli italiani” anche se quegli italiani hanno comportamenti vergognosi (il fratello dell’arrestato racconta che il tipo si divertiva a tirare noccioline ai neri, così, per gioco…) e infine l’ “invasione” che spiega tutto, che giustifica tutto (che è come dire che siccome in strada ci sono troppi ingorghi il guidatore può investire pedoni e auto a proprio piacimento). Questo schema interpretativo, reiterato su molte bacheche, è stato poi condito da guizzi creativi sorprendenti: per esempio ho appreso che certi fatti di cronaca non vanno letti su Repubblica o sulla Stampa o sul Corriere perché quella è la “versione delle zecche” (la stampa di regime crea ad arte il “mostro” per suscitare la compassione dell’opinione pubblica e garantire quella libera invasione del territorio italiano che ci condurrà alla rovina finale) e ancora sono state proposte campagne di sottoscrizione per aiutare l’arrestato e garantirgli un giusto processo (ma Mancini – oltre alla supertestimone - ha già un avvocato che parla molto con i giornalisti, dà loro foto e altro materiale, dipinge il fermano come un uomo pentito e distrutto dal dolore, ha avuto un suo perito presente all’autopsia al contrario del nigeriano morto, che essendo un rifugiato scampato a uno dei gruppi jihadisti più feroci, Boko Haram, non aveva e non ha proprio nulla e a quanto pare non è nemmeno meritevole della pietas che spetterebbe ai morti). Ma ho persino letto che questa coppia in fondo poteva restarsene a casa propria, e lui anziché aggredire il bravo ragazzo di Fermo poteva combattere virilmente Boko Haram (che pure aveva già ucciso una figlia dei due, e i loro genitori) anziché venire in Italia a fare la finta “risorsa” come affermano i “buonisti” alla Boldrini… Stesse persone che magari ce l’hanno col Papa perché non difenderebbe le vittime cristiane dell’integralismo islamico mentre loro, ai cristiani che scappano dai loro persecutori, tirano scherzosamente le noccioline e difendono, con questo, la gloriosa “civiltà europea”.  Questo il campionario, insomma. E non mi dilungo oltre. Un repertorio dove non affiora una condanna netta del razzismo, anzi si fa finta che il razzismo nulla c’entri, perché si ha difficoltà, evidentemente, a riconoscerlo e a prenderne le distanze e basta dire come ha detto Matteo Salvini che chi lancia certi insulti è un “coglione”. E basta, senza ulteriori specifiche, perché la vulgata da difendere è che i buoni italiani sono assediati dai cattivi migranti, e ciò non può essere messo in discussione. Se dici che i razzisti ti fanno schifo (è il mio caso) sei “complice” e “buonista” se non “radical chic” e altre scemenze del genere.



  1. Questa narrazione che certa destra (non tutta per fortuna) ha fatto sul caso di Fermo è perfettamente corrispondente al linguaggio populista analizzato dal sociologo Rosanvallon: “Esso riconosce solo una giustizia della repressione, della sanzione, della condanna, eleggendo a oggetto della propria vendetta una vasta categoria di indesiderabili e parassiti”. E in questa stessa narrazione è affiorata un’altra caratteristica del linguaggio di cui parliamo: il passare disinvoltamente dall’indice puntato al vittimismo. E allora gli italiani derubati dagli stranieri? E allora le nostre donne insultate dai migranti? E perché il ministro dell’Interno non si reca anche nei luoghi dove i profughi organizzano rivolte, infastidiscono i residenti, compiono atti di teppismo o veri e propri crimini? Perché appunto, se il “popolo” nel nome del quale si pretende di parlare è vessato e inascoltato, allora certi scatti rabbiosi, certe parole fuori luogo, possono anche scappare di bocca…
  2. Detto tutto ciò, resta da accennare a quell’altra parte di opinione pubblica che ha evocato a sproposito la parola fascismo per affibbiare un’etichetta all’omicida di Fermo. Anche questo seguendo l’ottica di un’autorassicurazione ideologica che fa velo agli errori politici commessi in passato: il male esiste, e sta sempre dalla parte che non è la mia…


  1. Ma mi hanno colpito, soprattutto, le energie profuse in difesa di una persona che in nulla, in nulla, può rappresentare o far scattare meccanismi di identificazione in chi ha militato a destra. Un attaccabrighe, uno che cinque anni fa faceva l’estremista di sinistra inseguendo una volubilità ideologica che evidentemente serviva da copertura alle sue capricciose pulsioni. Ma lui è quello che è. I suoi tanti difensori invece (che immagino esultanti perché l’autopsia ha confermato che c’è stato solo un pugno da parte di Mancini e dunque la versione iniziale della moglie del nigeriano non trova per ora conferme) sono persone che esprimono una tendenza, un orientamento, una mentalità. Che siano tanti o un’esigua minoranza non mi interessa. Un tempo forse avrei provato imbarazzo dinanzi a tutto ciò. Avrei persino provato a spiegare. Quel tempo è finito. Siamo distanti e resteremo distanti. Se non ce la fate a condannare il razzismo il problema è tutto vostro, tutto interno a una “destra” di cui nulla mi interessa. Io vengo dal Msi, che aveva moltissimi limiti, ma dove nessuno mi insegnava che dire scimmia a una donna africana era un innocente passatempo; nessuno mi avrebbe obbligato a difendere un Giovanardi, lo stesso che attribuì la morte di Cucchi alla sua fragile costituzione fisica; nessuno mi avrebbe chiesto di difendere il diritto d’opinione di un parlamentare che dà dell’orango a una ministra italiana di origini congolesi. Questa non è roba mia. A ciascuno il suo.  

venerdì 29 aprile 2016

E a Roma è cominciata la campagna elettorale...






Annalisa Terranova

Ma Berlusconi spariglia a Roma oppure no? E Alfio Marchini sarà un potenziale competitor di Renzi o il coprotagonista di un patto del Nazareno capitolino? Tutte domande legittime mentre la campagna elettorale finalmente entra nel vivo nella Capitale sgomberando il campo da vari equivoci tra cui il primo e più importante consisteva nell'illusione che il centrodestra potesse tornare unito e vincente come un tempo. 
In parte, va detto, Berlusconi è stato costretto all’abbandono della candidatura di bandiera per la fuga dei quadri romani verso Fratelli d’Italia che metteva a repentaglio persino la possibilità di formare una lista. Certo, l’opzione Marchini può trasformarsi in una scelta di strategia: costruire un’area di moderati riformisti per attrarre quell’elettorato indisponibile a seguire la deriva lepenista della destra salviniana. Ma quell’area è già presidiata da Matteo Renzi. Per vedere, allora, se Alfio Marchini potrà aspirare ad essere davvero alternativo al premier bisognerà vedere quanti romani sono disposti a puntare su questa scommessa. Roma è una città che riserva grandi sorprese: tutti ricordano l’exploit di Gianfranco Fini, imprevisto e imprevedibile, alle comunali del ’93. La campagna elettorale comincia solo ora: Marchini dovrà barcamenarsi non poco per non farsi stringere nella morsa dell’abbraccio soffocante del Cavaliere, Virginia Raggi ha il problema di dover parlare di politica oltre a invocare onestà e legalità, Giachetti dovrà faticare per occupare un posto sulla scena dopo essere stato messo in ombra dagli ultimi eventi (oltre che dai sondaggi) e Giorgia Meloni dovrà stare attenta a non calibrare la polemica solo nell’area della destra, per non portare fino in fondo lo scollamento tra le lacerazioni dell’area ex-An e i veri interessi dei cittadini romani.
 Oggettivamente è insostenibile la tesi che la candidatura Marchini sia di “sinistra” e che sia la più conveniente per Renzi (al quale semmai conveniva molto di più che Bertolaso restasse in campo). Marchini rappresenta invece quel civismo post-ideologico e imprenditoriale che può funzionare per aggregare l’elettorato deluso dai partiti (con Luigi Brugnaro, a Venezia, ha funzionato). Certo attorno a lui si agitano personaggi come Gianfranco Fini, Gianni Alemanno e Francesco Storace. Il primo, che forse dovrebbe un po’ contenere gli applausi per il Cavaliere di cui è stato fiero oppositore, può rivendicare una certa coerenza, in quanto appoggiava Marchini già alle precedenti comunali romane. Più difficile per gli altri due dare valenza politica a una scelta che va inquadrata come unica alternativa possibile all’esclusione da Fratelli d’Italia, movimento cui viene imputata – almeno a Roma – un’impronta comunitaria che a volte sfocia nel settarismo. Ma questi sono aspetti tutto sommato marginali. Solo se Marchini riuscirà ad andare al ballottaggio, sconfiggendo l’ipotesi da molti temuta – e cioè una vittoria di Virginia Raggi già al primo turno – si potranno pesare le conseguenze sugli equilibri futuri del centrodestra il cui leader quasi ottantenne aveva già prescelto come delfino un politico come Angelino Alfano, le cui caratteristiche certo non combaciano con un Salvini che va in conferenza stampa con la ruspa giocattolo.

E oltre agli equilibri si potranno vedere i risultati e definire le ricette più convincenti: il presidio dell’area di protesta a Nord con la Lega e al centro-sud con Fratelli d’Italia non è una formula spendibile come alternativa di governo. E il centrodestra nacque nel ’94 con queste ambizioni. Non era pensabile, in fondo, che un elettorato che aveva raggiunto il 38% (risultato dell’asse Berlusconi-Fini nel 2008) potesse interamente ripiegare sulle parole d’ordine della Lega in un quadro complesso come l’attuale sia a livello internazionale sia nel contesto della dialettica con Bruxelles. Certo, il vento populista soffia fortissimo in tutta Europa, e non solo all’ombra del Colosseo e finora le risposte “moderate” hanno rappresentato inconcludenti balbettii. Anche per questo la sfida romana è di cruciale importanza: doveva essere una sfida tra Raggi e Giachetti, era diventata una sfida tra Raggi e Meloni. Ora l’abilità di Marchini sta nel farla diventare una sfida tra lui da una parte, e Raggi e Meloni dall’altra. Ci riuscirà?


sabato 9 gennaio 2016

Sui fatti di Colonia non dite che è solo criminalità comune...



Annalisa Terranova 

No, i fatti avvenuti a Colonia (ma anche ad Amburgo, Zurigo, Helsinki e Stoccolma) non sono fenomeni di sola criminalità comune. Che lo dica Angela Merkel, che sente in queste ore vacillare la sua poltrona, è comprensibile. Non lo è da noi, dove il dibattito che si è avviato dovrebbe essere scevro da preoccupazioni elettoralistiche.
Ora, sui bigliettini trovati in tasca a qualcuno dei profughi identificati per le molestie e i furti a Colonia è stata trovata la scritta da dire in tedesco alla “preda”: “Ti voglio sco..re fino alla morte”. Uno di questi fermati, già a piede libero del resto grazie alle garanzie giuridiche dell’odiato Occidente, ha solo sedici anni (è un marocchino).
Il caso ha voluto che negli stessi giorni in cui l’Europa si indignava per le violenze alle donne tedesche ci abbia raggiunto l’atroce notizia dell’uccisione di una madre di Raqqa, Lena Al-Qasem, da parte del figlio jihadista. Un fanatico sanguinario che non aveva tollerato l’invito rivoltogli dalla madre a lasciare la capitale del Califfato.
Io i fatti li vedo collegati: la considerazione della donna è tale, in certe sottoculture, da essere indotti o ad umiliarle o ad eliminarle fisicamente, anche se sono madri (o mogli o sorelle). Oggetti di trastullo, o oggetti fastidiosi, in ogni caso privi della dignità di persone.
Certo, non si vuole dire che tutta la cultura islamica soggiace a questo schema, ma il problema esiste e non è con la comprensione compiacente che lo si risolverà. E’ stato detto che le femministe sono state parche di parole dinanzi ai fatti di Colonia. Bè forse lo sono state il sindaco di Colonia e Laura Boldrini, che non rappresentano nessuno. La femminista francese Elisabeth Badinter, intervistata dal Corriere, ha invece parlato chiaro e ha detto cose interessanti. Per esempio questa: “La prima reazione delle autorità e dei media agli incidenti di Colonia è stata, subito, difendere l’immagine dei rifugiati e degli stranieri in generale. Non le donne. Non posso dirvi quanto questo mi abbia dato fastidio. Come se la tutela delle donne possa venire dopo. I commenti si concentravano sul proteggere gli stranieri dalla xenofobia, e questo è uno scopo nobile. Ma il risultato è che nessuno si è dichiaro inorridito per le donne aggredite”.

Ecco, il punto è proprio questo. Il rispetto per le donne esige anche che non si abbia paura di passare per islamofobi, né di imitare la sgrammaticata e stracciona propaganda di Salvini (il quale peraltro appartiene alla tradizione culturale celodurista della Lega). Il rispetto per le donne esige che si dica che nelle piazze tedesche sono avvenuti fatti nuovi, inediti e inquietanti e che se pure la polizia fosse riuscita a reprimerli anche la sola intenzione di mettere in atto molestie di massa alle ragazze tedesche sarebbe stato un fatto intollerabile, ripugnante e generato dalla sottocultura di cui abbiamo detto. Il rispetto delle donne, è appena il caso di sottolinearlo, è un valore di civiltà mentre non lo è l’accoglienza, che è solo un metodo per fronteggiare un’emergenza. E i metodi si possono cambiare, i valori no.